Spesso le analogie portano a sentieri interrotti, altre volte invece riconducono alla strada maestra smarrita a causa di una bussola impazzita. Così oggi vi propongo una relazione, un contatto tra due epoche diverse, ma ancora così contemporanee da permettere la formazione di un arco elettrico sebbene tra di due elettrodi ci siano quasi 150 anni di distanza. Leggo da Le Figaro dell’ 8 giugno 1871 “…il saccheggio e il fuoco dei nostri quartieri più ricchi non lasciano spazio alla pietà – oggi la clemenza sarebbe pazzia. La repressione deve eguagliare il crimine e, mentre spera nel prossimo ristabilimento della legalità, è auspicabile che Parigi rimanga sotto il dominio militare fino al giorno in cui è stata completamente epurata.”
Il redattore di quell’articolo di fondo è ignoto, mentre è noto l’autore di quest’altro brano diffuso su Radio Classique il 7 gennaio scorso: “Quando vedi ragazzi che picchiano uno sfortunato poliziotto a terra, lascia che la polizia usi le loro armi una volta sola! […] Abbiamo il quarto esercito del mondo, è in grado di fermare queste schifezze! “ Si tratta di Luc Ferry uno di quei filosofi a tempo perso, ma in realtà uomini di potere di cui la Francia è uno dei giacimenti più notevoli al mondo. E’ stato anche ministro dell’educazione sotto Chirac mentre mandava le sue figlie in una scuola privata e prendeva un lauto stipendio dall’università Diderot senza avervi mai messo piede. Insomma avete capito il tipo che si può trovare a Cabourg come a Capalbio
L’analogia tra i due brani che riguardano rispettivamente la Comune di Parigi e l’insurrezione dei gilet gialli è evidente in sé e nel suo richiamo alla repressione come unica via d’uscita dalla situazione, senza alcuna apertura problematica o considerazione politica sul significato delle proteste: il potere non si discute, specie quando è davvero messo in discussione. Ovviamente ci sono infinite differenze tra questi eventi, ma anche alcuni punti di contatto: entrambi nascono infatti 1) nel momento di massima internazionalizzazione del capitale e dunque di svalutazione del lavoro; 2) al culmine delle disuguaglianze, visto che il reddito medio della borghesia medio alta impegnata nell’amministrazione o negli affari equivaleva a circa 288 volte quello di un minatore ovvero dell’operaio meglio pagato dell’epoca; 3) nel periodo di massimo e ambiguo legame tra affari e politica nonché di fusione tra capitale bancario e industriale; 4) nel pieno della trasformazione imperialistica europea. Quasi come il cacio sui maccheroni del discorso, Luc Ferry ha tra i suoi avi Jules Ferry, uno dei maggiori promotori della politica coloniale francese, oltre ad essere noto per lo smisurato arricchimento costruito sulla carestia durante l’assedio di Parigi (di cui era sindaco) da parte dei prussiani. Della questione ne parlò anche Marx ne La guerra civile in Francia.
Non c’è alcun dubbio che il combinato disposto tra egemonia culturale con la sua sterilizzazione delle lotte sociali e la nascita della rete con il suo business online, sta creando effetti analoghi se non più rapidi e drammatici di quelli di 150 anni fa, provocando la disgregazione della società del dopoguerra e i suoi assetti, visto che ormai le multinazionali e il capitalismo finanziario rastrellano la maggior parte dei profitti. E’ abbastanza chiaro che l’oligarchia è preoccupata, ma d’altronde manca ormai di strumenti politici e retorici che non siano l’aperta repressione della “dissidenza” sociale: ciò che colpisce nel caso francese è proprio l’assenza quasi pneumatica di qualsiasi apertura che non sia quella dell’obolo concesso al mendicante. Un poliziotto delle forze antisommossa ha rivelato a Le Monde la sostanza dei briefing per gli 8000 uomini fatti convergere su Parigi: ” se perdiamo questa battaglia, tutto può crollare”. Bisognerà capire in quanto tempo le forze che cercano di salvare il soldato Macron, arriveranno a capire che quel tutto non li riguarda affatto. E questo vale in ogni luogo e contrada del mondo.
Scrive Minutolo che si ha la comune di Parigi “nel momento di massima internazionalizzazione del capitale e dunque di svalutazione del lavoro”
massima internazionalizzazione rispetto a quale punto di riferimento ??
la massima internazionalizzazione la si ebbe nei decenni successivi, gli anni della “bella epoque”, anni in cui i salari crescevano, al punto che si sviluppò il revisionismo nella socialdemocrazia di tutta europa ( Es Eduard Bernstein)
Decenni che vengono definiti dela prima globalizzazione, nei quali crebbe la ricchezza di tutti gli strati sociali e si espansero i ceti medi ( pur con momenti di crisi)
Ma Minutolo non ha qualche nipote sui libri di storia del quale cominciare a studiare? Siamo tutti scienziati, dicono nelle campagne dell’ Italia centrale !!
E legittima da parte del blogger qualunque opinione, ma la motivi col tradizionalismo cattolico, col nazionalsocialismo, col buddismo, con la teoria rettiliana dei complotti, ma non col marxismo, di cui l’autore tira sempre in ballo le categorie per poi dimostrae di no averne capito nulla
Si può vedere: