balthus-gato002Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mi sono risparmiata le descrizioni puntigliose e pruriginose di approcci, contrattazioni, mercanteggiamenti su baci, stranezze o effusioni secondo tradizione, acrobazie o destinazioni più o meno afrodisiache.. Mi sono  risparmiata i rituali j’accuse contro le varie divinità dei nostri inferi, tutte con le  maiuscole: Consumismo, Mercificazione, Mercati, Tv, Pubblicità, Crisi dei Valori,  Declino di Principi, Sessismo, Maschilismo, Berlusconismo, Eclissi della Famiglia, Agnosticismo, etc etc.. Mi sono risparmiata le disquisizioni semantiche su come definirle: baby escort, no, baby squillo meno che mai, che quel gergo, che pure ha attraversato olgettina, veline, cene elegante, eccitanti mascherate, sembra impreparato a apostrofarle senza sguaiato compiacimento, senza  stuzzicanti ambiguità.

Pare anche che io non sia autorizzata a parlare di adolescenti inquiete, di discutibili pedagogie, di principi educativi: nel clima di entusiastico primato del “privato”, più virtuoso e autorevole dell’ormai sputtanato pubblico  ai rami secchi è interdetto criticare l’amor materno, pronunciarsi sulle pene della cura della prole, sollevare obiezioni su “cori de mamma” e i figli che so’ piezzi ‘e core, per non averlo provato direttamente sulla propria pelle, mentre tutti sono legittimati a allenare la nazionale, girare film, scrivere libri, cantare a Sanremo. E dire che sono invece convinta che chi non ha figli, abbia un rapporto più partecipe e più laico e più armonioso con il futuro e sappia guardare con più compiuto “civismo” e maggiore attenzione all’importanza dell’esempio, nei rapporti con le altre generazioni.

Così non azzardo ipotesi sul ruolo giocato non sola da padri assenti, probabili coetanei e colleghi e affini dei professionisti pariolini in cerca di emozioni, nemmeno sull’incerta posizione delle mamme, comprese quelle degli sciagurati “clienti”, ai quali, si deve supporre, non devono aver insegnato il rispetto neppure per se stesse.

Invece osservo che forse a causa di un certo clima penitenziale si, ma al tempo stesso compassionevole, misericordioso, comunque comprensivo, c’è una sorprendente estensione del concetto di vittima. Forse per via di quella Maiuscole, Pubblicità, Consumismo, Televisione, Cattivi Maestri, di cui sopra, sicché sono vittime le ragazzine, comprese quelle un po’ troppo “mature” e disinvoltamente dedite al proselitismo, le mamme, delle quali si vanno ad esplorare antiche sofferenze, vittime gli insegnanti poco accorti: e che pretendete con quello che prendono, vittima il quartiere ingiustamente coinvolto e criminalizzato. La tendenza potrebbe condurre anche a esercitare una certa clemenza nei confronti dei criminali, quelle specie di lupi a caccia di adolescenti, che è certo abbiano avuto una infanzia complicata, padri sessisti, mogli indifferenti, sorelle femministe.

Presto con  quello elettorale avremo diritto al certificato di vittime, della crisi, del malaffare, della corruzione, della televisione, della mediatizzazione, dell’elettrosmog, del consumismo, della mercificazione di corpi, menti e lavoro. E anche dell’eccesso di umanità se si telefona per peroorare cause improbabili, dell’indole alla filantropia se si mantengono stuoli di puttanelle, di venerazione per le istituzioni se le più affettuose vengono poi elette in Parlamento, di sete di avventura se sia pure in funzioni pubbliche si frequentano ambienti malfamati per saggiare emozioni poco usuali e facilmente soggette a ricatto.

Nella dolciastra e tossica marmellata della pacificazione, dell’andar d’accordo tutti per via dello stato di necessità, nella comune convinzione che tutti sono uguali, tutti suscettibili di corruzione e di contagio del male, nella generalizzata assuefazione all’illecito, alla licenza, alla discrezionalità si perde il senso dell’arbitrio e quello della responsabilità. E questo è già tremendo. Ma quello che è più squallido e disonorevole è ci si compiace dell’essere vittime, del subire come se fosse un destino implacabile e ineluttabile, perché esonera dalle scelte, dalla facoltà di esprimersi, dalla bellezza della libertà, che è una bellezza ardua e infatti chi ne ha paura, la rifiuta, e quel che è peggio la limita e proibisce agli altri.