Licia Satirico per il Simplicissimus

Il ministro Profumo vuole “rompere le incrostazioni” del sistema, pur non avendo intenzione di fare alcuna riforma dell’università. Mentre ci pare quasi di vederle le nostre croste di lebbrosi incurabili, di calcare accademico, di cultura vegetativa, il titolare del Miur precisa, con piglio da ragioniere, che intende oliare i cardini della legge Gelmini per renderla razionale, annunciando la riapertura delle abilitazioni nazionali per la docenza di prima e seconda fascia: «in università i bandi di concorso saranno più chiari e semplici, in italiano e in inglese, con maggiore apertura, in modo che possano partecipare anche persone che sono fuori dal circuito universitario». Quella per l’inglese è fissa antica e trasversale: la convinzione che il nostro processo di internazionalizzazione passi attraverso una colonizzazione linguistica anglosassone emerge, del resto, dalle idee del ministro sulla valorizzazione del merito discusse – anche sul Simplicissimus – pochi giorni orsono. Non si tratta, però, dell’ossessione ministeriale più inquietante. Dopo una gestazione da elefante, il sette giugno scorso è stato finalmente partorito il decreto ministeriale su criteri e parametri di valutazione degli aspiranti professori ordinari e associati e dei commissari che dovranno giudicarli. Scopriamo così, non senza un certo anacronistico sconcerto, che per essere giudicati idonei i candidati alle abilitazioni nazionali dovranno dimostrare anche la loro capacità di “attirare investimenti”, possibilmente internazionali. Interrogandoci sul tipo di investimenti che un umanista possa attrarre ci vengono in mente le eventualità peggiori, subito esorcizzate da laici riti apotropaici. Ma non è questo, ovviamente, il punto della questione: il punto è pensare con amarezza che un professore universitario di chiara fama porti avanti, in previsione dell’eliminazione delle incrostazioni, la stessa visione aziendalistica dell’università tanto cara alla Weltanschauung di internet inglese e impresa. Senza alcuna pietà per quelle forme di cultura che da qualche anno, grazie ai parametri bibliometrici bocconiani oggi in auge, sono ritenute implicitamente improduttive. Qualche perplessità incrostante nasce poi leggendo dell’intento ministeriale di far partecipare ai concorsi anche “persone che sono fuori dal circuito universitario”. Sì, perché la sensazione è che Profumo si sia invece fatto garante di ben precisi circuiti universitari: in primo luogo del cerchio magico di rettori prorogati a vita dalla legge Gelmini, che il ministro razionalizzatore non ritiene incompatibili con le nostre antiche patine. La legge 240 del 2010 prorogava i magnifici in carica al momento dell’adozione dello statuto fino alla fine dell’anno accademico successivo. Accade, però, che anche il termine “adozione” sia incrostante: una vera macchina del tempo utilizzata per prorogare i mandati non di uno, ma di due o tre anni. In merito al sinistro fenomeno dei rettori autoadesivi, talmente dentro il circuito universitario da essere inamovibili, il ministro glissa: la proroga dei rettori ha lo scopo di mantenere un elemento di continuità con la gestione preriforma, e gli atenei hanno bisogno di stabilità in una fase così delicata. Su continuità e discontinuità della vita universitaria, sulle sue incrostazioni e sulle sue razionalizzazioni abbiamo idee molto diverse dal ministro. La continuità di rettori in carica anche da diciotto anni, spesso indagati o imputati in processi per fatti commessi a causa e nell’esercizio delle loro funzioni, non ci piace: ci sembra il segno di quella vischiosa scia di conflitto di interessi che ha istituzionalizzato ogni aspetto della vita pubblica italiana, atenei inclusi. Ci piacerebbe, invece, continuità nei finanziamenti, nelle borse di studio, nell’accesso a una carriera frammentata fino alla dissoluzione. Ci piacerebbe continuità nella gestione della cultura umanistica a prescindere dagli indici bibliometrici e dalla nostra capacità di attrarre investimenti. L’unica disincrostazione sana sarebbe quella del rilancio della ricerca: per far crescere l’anima di chi abita gli atenei, non certo i finanziatori internazionali e i mandati cretacei dei rettori.