L’affluenza alle urne mai così scarsa dal lontanissimo 1946, rassomiglia a certe immagini di grandi disastri ripresi dall’elicottero: la politica è diroccata, spezzata, immersa nella fanghiglia delle alluvioni dentro una luce grigia e desolata. Compiacersi di essersi sfaldati di meno è certo legittimo, ma è anche come voltare la testa dall’altra parte. Il Paese non ne può più di apparati, di onorevoli a vita, di giovani nati vecchi dentro i corridoi, di privilegi perenni e si è anche stufato dei suoi cavalieri puttanieri e dei suoi crociati ladri: tutta gente che alternandosi per un quindicennio ha prodotto immobilismo nei vizi oppure un concetto di modernità raccogliticcio, posticcio, ambiguo che alla fine ha portato il Paese alla bancarotta.

Pensare che sia solo questione di stipendio o di finanziamento pubblico è l’ultima delle incomprensioni o forse solo una speranza. La sensazione, il sentimento profondo è invece che la politica sia vissuta in una dimensione separata, dentro logiche di apparato e di  affari,  che insomma abbia lasciato il Paese come un figlio davanti alla televisione lasciandolo fare, ma anche abbandonandolo a se stesso. Che alla fine la politica si sia tradotta in un business dentro il quale si arraffava ma senza produrre efficaci o realistiche visioni del Paese,  solo “macchinazioni” per strappare il consenso e uno scontro  tra berlusconismo e antiberlusconismo che alla fine è risultato funzionale a fingere una rivalità ideale che alla prova dei fatti si è ridotto più o meno a nulla. Anni e anni di tensioni e di divisioni, di incazzature e  battaglie per scoprire che Sacconi e Ichino abitano sullo stesso pianerottolo.

Certo, il puttanaio degli ultimi anni è stato degradante, una riproduzione anastatica dei peggiori bassi imperi, ma alla fine nessuno ha prodotto il progetto di un’Italia diversa, più attenta ai diritti del lavoro, meno complice nel creare la precarietà, un’Italia più solidale e anche più concreta, un Paese in cui ci fosse un futuro collettivo e una speranza sociale da coltivare. Insomma un progetto che fosse davvero diverso e non puntasse solo allo stile. Così disgraziatamente la sensazione che tutti fossero uguali si è trasformato da odioso ritornello qualunquista in una realtà. Nel qualunquismo ideologico della politica.

Paradossalmente il colpo di grazia è venuto con la grande furbata del governo tecnico: l’intenzione era quella di sfruttare l’emergenza e l’allarme per far fare ai professori massacri bipartisan e poi presentarsi vergini alle elezioni. Ma un po’ la pessima scelta dei personaggi, teleguidati da poteri estranei e già di loro incapaci di realismo, un po’ gli scandali a ripetizione e molto la scena dell’ammucchiata dei nemici di pochi giorni prima, ha fatto cadere proprio quella tensione tra i due poli che in fondo li teneva in vita. E così sono apparsi dentro una luce diversa: irrimediabilmente casta.  Irrimediabilmente vecchi.