Anna Lombroso per il Simplicissimus

L’Italia si salverà, dice Monti. Mi ricorda “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani” . Ma i tempi sono altri, non ci sono i trecento giovani e forti e i partigiani sono scesi dalle montagne e ci vogliono zitti e buoni, che a salvarci ci pensano loro. Si perché chiunque in questi giorni abbia più o meno sommessamente detto o scritto che in presenza di un governo tecnico bisognava che le politica e in particolare la sinistra si esprimesse a difesa di interessi e diritti, si è beccato un’accusa  di sciacallaggio preventivo. Auspicando in tempi di antipolitica che la politica stia in castigo. E la politica dei rappresentanti con estrema discrezione si è appartata salvo negoziare due poltrone omologhe o antitetiche mosse però dagli stessi opachi interessi. Peccato che questo atteggiamento che impropriamente si è chiamato responsabilità, sia proprio il contrario della “politica” che invece per il momento è appannaggio con diversi modi e stili e obiettivi dei tre soggetti: praticata con il severo agnosticismo del teorico, con la paterna tradizione negoziale del presidente, con l’abituale dispotica tracotanza del bandito che non si arrende e impone, dispone, costringe. E con esiti incerti, perché la preoccupazione è che si salvi l’espressione geografica ma non è detto si salvino gli italiani. Teleutenti e consumatori apatici, inclini a demandare secondo deleghe ai rappresentanti, alla chiesa, a divi e profeti, che condizionano tutta la loro esistenza, perfino una morte dignitosa. Che scendono in piazza contro il puttaniere ma stanno a casa, quando diritto, lavoro e istruzione vanno a puttane. Imprenditori, la sentenza della Thyssen lo testimonia, che compiono oculati risparmi su sicurezza e innovazione per investire in accumulazione e ambizioni personali, pronti a difendere pubblicamente gli assassini per non perdere commesse, evasori e collusi. Governanti che hanno attuato la metamorfosi aberrante da familismo a clientelismo, innalzando i livelli di tolleranza dell’illegalità e trasformando irrisione di regole e diritti in pratica diffusa e licenza desiderabile e praticabile per la collettività. Siccome non sono una rovinologa né una disastro fila, da innamorata della sovranità popolare e della democrazia, in questi giorni ho ripetutamente risposto a chi mi tacciava di ideologismi arcaici se non addirittura complottismi- che giulietto chiesa mi fa un baffo – , che l’incarico a Monti poteva costituire una opportunità per condizionare il ricatto esercitato sull’Italia, resistendo sul fronte delle relazioni industriali e delle politiche del lavoro, proponendo sul versante della lotta all’evasione, esercitando una pressione dei partiti e popolare per indirizzare i cespiti della patrimoniale verso investimenti per la crescita. Praticando insomma la politica. Perché la politica è appunto l’esercizio di scelte nell’interesse generale. E i tecnici la fanno eccome, magari mettendo un banchiere allo Sviluppo economico, ma non è garantito che siano ispirate a equità, laicità e lungimiranza. Non credo sarebbe un delitto di lesa appartenenza all’Europa esercitare una pressione perchè il governo italiano non si trasformi in un governo “di scopo” incaricato di eseguire ciecamente le richieste sproporzionate dell’Europa, seguite peraltro da una risposta del precedente esecutivo, inaffidabile per la qualità e quantità di impegni e dalla promessa di riforme totali che imporrebbero anni e lo stravolgimento dell’assetto costituzionale. La liturgia delle consultazioni di soggetti più o meno corporativi, di una miriade di fantasmatici gruppi politici che rappresentano interessi personali, non autorizza l’ottimismo. Spesso mi sono trovata a pensare che le funzioni pubbliche possano migliorare gli uomini che le ricoprono. È successo se pure non ultimamente, ma è vero che nulla c’era più di democratico e civile nel nostro passato recente ma purtroppo non abbastanza breve. E sarei fiduciosa anche in questo caso: il Presidente del Consiglio più amato dalle cancellerie e dai padroni della finanza potrebbe mostrarsi permeabile alle richieste e alle aspettative del Paese. Ma certo dovrebbero pervenirgli e non attraverso una stampa interessata ai giri di poltrone e all’agiografia dei potenti in carica o mediante il tramite di improbabili interpreti privilegiati. Doveva essere la “ politica” a testimoniarle e trasmetterle. E questo dimostra ancora una volta che dobbiamo riprendercela noi la politica, costruirci noi la salvezza e fare noi gli italiani.