Anna Lombroso per il Simplicissimus

Un mio conoscente motivava la sua tiepidezza nei confronti della donazione d’organi con la considerazione innocente ancorché egoistica che gli sarebbe dispiaciuto lasciare il suo amatissimo rene a uno sconosciuto magari antipatico.
Ci pensavo guardando il premier in tv. In effetti mi sarebbe sgradito restare secca sotto il fatidico vaso in testa e trovarmi a avere imperitura riconoscenza da Berlusconi, poni caso, per il mio prezioso fegato. Sempre che quell’ometto disgustoso sia capace di gratitudine. Disgustoso con quella faccia di pongo e gli occhietti porcini, atticciato e volgare, con quella giovialità artefatta quelle barzellette da piazzista quella ossessione coattiva per le allusioni sessuali. Con quell’approccio trasversale, indiretto che combina bonarietà e prepotenza, soddisfazione di sé e altezzosità, intolleranza e affabilità.
Ma antipatia e simpatia non sono più quelle di una volta. Costruita a tavolino coi pubblicitari di mediaset, la leadership deve essere volgare per piacere al volgo, plebeo per compiacere la plebe. Lui ha una così cattiva opinione di noi da pensarci fatti a sua immagine e somiglianza e ha messo su con i suoi un cantiere per costruirsi come ritiene che noi siamo, incivili avidi egoisti meschini ottusi impermeabili solipsisti corrotti spregiudicati. Ostenta vizi come fossero virtù, difetti come fossero qualità, mancanze come fossero doni, finzioni come fossero realtà.
Una volta si pensava che la classe dirigente, l’èlite dovesse rappresentare il meglio di un paese. Oggi come in uno di quei mondi paralleli ipotizzati da Borges i “peggioristi” dimostrano che l’affermazione, l’egemonia, il comando sono condizionati e garantiti dalla capacità indiscussa di testimoniare e incarnare istinti, caratteri primordiali, elementi primari, insomma i fondamentali come piace dire a loro, costitutivi della nostra indole bestiale, irrazionale, incontrollata e non civilizzata. Che esprimono nell’irrisione di regole, nella trasgressione di leggi, nella beffa alla solidarietà, nella vocazione all’iniquità come se la libertà di dar corso al nostro quoziente di infamia fosse l’unica libertà che legittimano per sé e lasciano a noi per assicurarsi una sopravvivenza imperitura finche regnerà l’homo homini lupus.
In posti più civili dei nostri e anche da noi in epoche meno belluine venivano eletti con un certo consenso anche gli antipatici. Ma lo erano per indiscussa superiorità, sia pure ritrosa, per accertata onestà, anche un po’ fastidiosa, per conclamata severità, spesso mal tollerata, per superba distanza, spesso incolmabile. Personaggi magari ieratici ma in quanto tali carismatici e autorevoli e anche affidabili, emblematici delle qualità necessarie a interpretare bisogni e a governare la cosa pubblica, come nocchieri sul mare in tempesta.
Invece i gran simpatici di adesso più che guide sembrano autisti ubriachi di un tram impazzito. Non c’è da fidarsi di loro e del loro volersi rendere graditi a tutti i costi anche mentre ci infilano le mani, melliflue ma rapaci, nelle tasche per sfilarci quattrini, per invadere il nostro privato, per fare i burbanzosi con le nostre scelte, per decidere sulle nostre inclinazioni.
Al peggiore di tutti sanguina il cuore a venir meno alla sua immagine accattivante, adesso che ci chiede sacrifici e al tempo stesso ci consiglia di contribuire sostenendo le sue imprese perché se regge mediaset regge anche l’impresa Italia. Questa sembra essere la più trita delle barzellette del suo repertorio, che già da un po’ non fa ridere più nessuno nemmeno banchieri e imprenditori.
E allora non ci resta che antipatizzare, preferire quelli scomodi, quelli che dicono la verità, che non professano ipocrisia, che non vogliono piacerci a tutti i costi e ci procurano solo dispiaceri, quelli che compiono azioni e non fanno prodezze, che scelgono la sincerità piuttosto della spudoratezza, la realtà alla soap opera, la verità alla rappresentazione. Si se proprio devo avere un leader lo preferisco antipatico. Come me.