Dici Claudio Scajola, ma parli di una dinastia, di una storia italiana lunga sessant’anni e in cui si riconoscono le stimmate di una società via via degradata. Tre sindaci “regalati” ad Imperia, un onorevole, un ministro  impigliati nelle clientele e negli “affari”.

Comincia negli anni cinquanta  con papà Ferdinando, di origini laziali, legato a doppia mandata al mondo cattolico: diventa sindaco della cittadina ligure una volta esaurita l’ondata rossa del dopoguerra. Ammanicato non solo con gli anelli vescovili, ma anche con gli ambienti bancari e imprenditoriali grazie ai quali gestisce il potere. Incappa in uno scandalo: l’aver favorito il cognato per un posto da primario e si deve dimettere. Una cosa che oggi sarebbe considerata la normalità: tanto che a indignarsene si rischia di passare per giustizialisti, cioè fuori dall’ambito del buongoverno del premier e della sua corte dei miracoli.

L’eredità del potere passa al figlio Alessandro, compagno di scuola del futuro mago Otelma,  che sostituisce il padre nella poltrona di primo cittadino. Il cursus honorum comincia all’ombra e sotto la protezione di Paolo Emilio Taviani, ras democristiano della Liguria. Diventerà in seguito onorevole, ma non andrà molto avanti, anche perché il protettore punta sul fratello più piccolo, Claudio, che già studia da ministro.

Chi farà carriera in Liguria? chiedono negli anni Settanta a Taviani. “Scajola”, risponde il cavallo di razza.  «Alessandro?» «Macché Alessandro, quello più piccolo, il più giovane»,

Certo Taviani mai avrebbe immaginato che la carriera ci sarebbe stata, però non all’interno della Dc, ma di una formazione politica agli ordini di un massone puttaniere.

Comunque sbarcato a Roma Alessandro, Claudio diventa a sua volta  sindaco. E’ il 1982. L’anno dopo viene coinvolto in uno scandalo, questa volta molto più grave di quello che aveva stroncato la carriera del padre. E’ accusato di aver preso 50 milioni dal conte Borletti per favorire la scalata finale del signor “punti perfetti” al Casino di Sanremo. Viene arrestato nell’ufficio di sindaco, portato a San Vittore, dove resta due mesi. Poi arriva  l’assoluzione da accuse e sospetti: ha incontrato Borletti in Svizzera, ma non per ricevere tangenti, bensì per chiedergli un maggior equilibrio nella gestione della casa da gioco.

Oddio Borletti un po’ il vizio l’aveva di portare soldi in Svizzera, ma insomma evidentemente l’atmosfera della Confederazione elvetica deve essere favorevole anche all’esportazione di consigli politici.

Scajola torna così in campo. Non subito, prima consolida i suoi legami tramite il fratello onorevole, crea reti di affari, diventa un esperto di maneggi partitici. Ritorna sindaco, crea una propria lista civica, opponendosi all’appena nata Lega e Forza Italia. Poi capisce da che parte tira il vento e rimedia ai suoi errori, cede al fascino del Cavaliere rampante.

Riorganizza, anzi organizza il partito del presidente e nel 20001 viene premiato col posto di ministro dell’Interno. Ma l’uomo si rileva subito ciò che è: un maneggione di provincia, abilissimo a tirare i fili degli interessi, a fare uscire le creste, ma completamente privo di una reale dimensione politica. Si lascia scappare che Marco Biagi è un “rompicoglioni”  e così perde il posto per riacquistarlo in dicasteri dove può far fruttare le sue doti : attuazione del programma e sviluppo economico. Si dedica a far decollare l’impossibile aeroporto di Albenga,  a far andare avanti strade inutili e costosissime dove transita un’auto ogni mezz’ora, a fare i suoi pasticcetti con l’impreditoria e la finanza locali: il suo vero orizzonte. Del resto col fratello Alessandro, vicepresidente della Carige e con  l’altro  Maurizio, segretario Unioncamere, il gioco è facile. Una famiglia di piovre mediterranee, di polpi con patate per restare alla cucina ligure.  Per il resto si attiene agli ordini del padrone e dei suoi amici.

Dopo la parentesi Prodi torna ministro: nuove gaffes sottolineano l’assenza di una vera cultura politica e di governo. Quando, come ha fatto si citano i morti sul lavoro come un particolare secondario rispetto al “dané”, quando si sbandiera un progetto di un magazzino Ikea al posto della Fiat a Termini Imerese, siamo proprio alla frutta.

E infine c’è la crescita della nuova generazione:  il nipote Marco è incappato in una vicenda di fondi Ue ancor prima di essere eletto consigliere regionale. Posizione stralciata per il momento chissà per quale santo in paradiso.

Ora arriva la vicenda dei 900.ooo euro per la casa romana, gli assegni in nero, il baratto con gli affaristi che si sono mangiati l’Abruzzo. Tutto quanto serve per delineare la storia di una famiglia italiana in politica, una storia di provincia con orizzonti ristretti, il piccolo mercato, il declino verso il cinismo. Non la deviazione da ideali e concezioni, ma proprio l’inesistenza dei medesimi, la politica intesa come scambio reciproco di favori, come modalità naturale di un’oligarchia ereditaria.

Claudio Scajola non si dimetterà. Sarebbe un’ingiustizia. Cosa ha mai fatto di male se non essere ciò che è?