A guardare in televisione la riunione della Cei, sembrava una scena girata da Murnau in Transilvania: tutti quei vegliardi in nero, con la pelle di carta velina, timorosi della luce del sole, apparentemente fragili come redivivi, eppure chiusi nella loro fede diventata feroce, pronti a scoprire il denti aguzzi e a succhiare il sangue di questo Paese.

Dopo aver detto, alcuni mesi fa, di non voler fare politica sono invece accorsi a difendere Berlusconi e in particolare la Polverini. Cercano di imporre ai cattolici un voto per la vita, un tema diventato ormai un totem vuoto e dunque buono per tutto, persino per tornate elettorali in cui  non c’entra nulla.

A guardarli sembrano preti e invece sono mercanti in divisa ieratica, gente che contratta i vantaggi che può lucrare dall’uomo della Provvidenza, anzi delle provvidenze. Ed esalano morfina per un Paese già addormentato, ammorbano l’aria con la dottrina del dolore, pretendono che non si prenda la pillola abortiva perché le donne debbono soffrire, accartocciano  i vangeli per mutarli in un racconto di De Sade.

Altro che pastori, questi sono bottegai che offrono una fede da loro stessi adulterata un tanto al chilo e la vendono ovviamente a chi si può permettere di acquistarla e poi buttarla nella spazzatura. Cioè il Cavaliere. Ma a loro non importa di certo: basta che siano garantiti prebende e privilegi. Alleanza per la vita: diciamo per i soldi che potranno mettere in cassa a miglior gloria del Signore, anzi di lor signori.

Avrebbero da pensare a lungo sulle vite spezzate e triturate dentro il meccanismo della paideia religiosa e invece eccoli lì, sfrontati testimoni della setta di Silvio. Prototipi dell’inautentico.

Se non avessi un’ intima incapacità di aderire alle metafisiche della salvezza, mi farei musulmano: sarebbe l’unico modo forse di essere veri cristiani.