Anna Lombroso per il Simplicissimus

Si chiama Roberto Lassini, ex sindaco Dc di un comune in provincia di Milano, l’autore dei manifesti “via le Br dalle procure” e lo rivendica lui stesso in un’intervista a Il Giornale. E riaccende la polemica sulla vicenda: l’ex primo cittadino di Turbigo è oggi candidato nelle liste Pdl per le prossime elezioni comunali a Milano. Il sindaco uscente Letizia Moratti, che cerca la riconferma, si affretta ad annunciare che “Lassini si è autosospeso”. Ma il diretto interessato la smentisce e conferma: “Il coordinamento regionale del partito ha ribadito la mia candidatura”. “Sostengo il premier, la giustizia non funziona”. Il presidente onorario (da quelle parti si fa un grande uso della parole onore e dei termini ad essa connessi)  dell’Associazione   “Dalla parte della democrazia” (e si fa anche abuso impropriamente della parola democrazia) che li ha fatti realizzare,  osserva: “Credo che i militanti abbiano fatto una sintesi dell’espressione” del premier che ha parlato di brigatismo giudiziario. Da Lele Mora a Ghedini, da Ruby a Signorini il premier ogni tanto è vittima di un fuoco amico che conferma le sue peggiori esternazioni e le sue più sfrontate smentite.

Ma se non avevamo dubbi sulla completa adesione da parte dei militanti al teorema magistrati=Br, la vicenda ci illumina su una pratica di affiliazione in vigore nella maggioranza. Che riconosce benemerenze e affida incarichi elettivi e prebende a titolo di gratitudine per prestazioni sessuali, ma attribuisce eguale diritto d’accesso alle “vittime” del sistema giudiziario. Lassini racconta infatti di essere stato accusato di tentata concussione, “sono stato in carcere da innocente e ho perso tutto. In cella 42 giorni a San Vittore e poi 5 anni e mezzo per la sentenza di proscioglimento: risarcito con 5 mila euro” non sufficienti nemmeno per “le spese legali”.

Crediamogli e rammarichiamoci che Turbigo abbia  perso un probo amministratore,  ora comunque determinato a  non farsi rimpiangere invece dai cittadini milanesi.

Ma tanto il premier e il suo entourage non vanno comunque per il sottile e intendono  per “vittima” chiunque, innocente o colpevole, incappi malauguratamente nelle maglie della giustizia, quella sì ostinatamente rea, in attesa di essere opportunamente “abbreviata”,  di voler essere uguale per tutti: amministratori o amministrati, ricchi o poveri, operai o industriali come dimostra la   sentenza della Thyssen, che è suonata come un affronto per chi pensa che con la plutocrazia vigente è obbligatorio essere di manica larga.

L’unica forma di “giustizia” desiderabile per il regime sarebbe la vendetta  contro gli stessi magistrati fanatici, contro i giornalisti tutti comunisti, contro lo stato che si interpone con i suoi ostacoli arcaici, contro l’equilibrio dei poteri che impedisce un governo forte, vendetta esercitata dal miglior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni, dal condottiero salvifico, dall’abile mediatore tra i leader mondiali, dall’imprenditore spregiudicato e  astuto che sa far felice la gente e ricca la nazione.

Ma pare che la nazione, che si ritrova sempre meno ricca sia anche meno contenta: nella rilevazione di aprile eseguita da Ipr Marketing si registrano i   minimi storici per il Cavaliere (la metà rispetto al 2008) e per l’esecutivo. Il premier riscuote appena il 31% di fiducia: su 100 intervistati,   meno di un terzo sono “molto o abbastanza” fiduciosi nell’operato del presidente del Consiglio, mentre il 58% esprime “poca o nessuna” fiducia nei suoi confronti e l’11% del campione risulta non avere un’opinione. Il calo, per Berlusconi, è di due punti rispetto al mese scorso, mentre la quota dei “negativi” sale del 3%. E per la prima volta un’eventuale coalizione Pd-Sel-Idv-Verdi-radicali supererebbe di mezzo punto la maggioranza.

Voglio credere nel ravvedimento: nella giungla giapponese della disfatta resteranno pochi soldati irriducibili, qualche stracquadanio, qualche ghedini, qualche eunuco, qualche cameriere… gli altri, in un frettoloso e sguaiato revisionismo, come d’altro canto è costume non solo nostrano, rinnegheranno il passato e negheranno l’evidenza.

Ma è sul contesto e sul clima che invece conservo grandi preoccupazioni: non so se sia solo una mia impressione, ma è come se classe politica e molti cittadini, fossero congelati da una stupefatta paralisi. Come se avesse preso il sopravvento una specie di   “horror vacui”, che fa temere il “dopo”, il silenzio dopo le invettive, la frigidità dopo l’avversione, la responsabilità dopo la delega, la ricostruzione dopo la disfatta della ragione e dell’operosità.

Tra i molti delitti del premier c’è quello di aver interpretato e alimentato il più immondo degli umori contemporanei, l’accidia, la diffidenza nei confronti degli altri, il timore di perdere privilegi conquistati, o comperati, o spesso semplicemente ereditati, o vinti alla lotteria “naturale”, insomma la paura. Che è diventata paura del futuro, un futuro depuaperato di speranza e bellezza e costretto sempre più nelle sembianze di minaccia, tanto che il timore di un “dopo” auspicabile potrebbe farci  restare fermi in un gran brutto “adesso”.