Anna Lombroso per il Simplicissimus

Regna una tale confusione sotto il cielo che vengono meno anche i fondamenti della saggezza popolare: quando la carne se frusta, l’anima se agiusta e soprattutto “da giovane incendiario, da vecchio pompiere”, oggi sorprendentemente rovesciato come la lotta di classe vinta dai ricchi e l’antifascismo degli agiografi dei brigatisti neri di Azov.

E difatti ogni giorno ci toccano i pistolotti interventisti e guerrafondai di riformati al servizio militare, fieri resilienti che continuano a indossare la mascherina anche da soli in auto, e che, proprio come i cinefili di sinistra incantati dalle performance dei berretti verdi capitanati da John Wayne, hanno scoperto la bellezza eroica della guerra,  santa e giusta se legittimata dai valori e dai principi morali della superiore civiltà occidentale, insieme al fascino muscolare e all’ascendente virilista delle divise, e alla musica cara ai futuristi,  prodotta dallo scontro di lame scintillanti e il rombo degli aerei che scaricano missili difensivi  e bombe lecite.

Si tratta di soggetti attempati, perfino venerati maestri, cui l’età e l’esperienza dovrebbe suggerire prudenza e cautela nel giudizio e negli atti e che invece professano irruenza e baldanza giovanili, ma che a differenza del caso umano della Casa Bianca, non hanno la giustificazione della condizione patologica, anche se certi eccessi ridondanti fanno sospettare qualche disturbo della personalità o la presenza di frustrazioni e complessi più o meno inconsci.

Ecco tre icone pop che si sono messe generosamente e audacemente al servizio della propaganda bellica dell’asse Nato-Europa, mosse da pulsioni e passioni e culti svariati, che dovremmo analizzare meglio perché a volte non basta seguire i soldi e offrire spiegazioni solo economicistiche per fenomeni complessi che sfociano in conflitti.

La sacerdotessa delle rivolte giovanili contro la guerra del Vietnam,  cantatrice e attivista della pace e della giustizia sociale, che abbandonati i palchi e i palcoscenici si è data alla pittura, si è abbandonata dissipatamente al culto della personalità ritraendo il presidente ucraino  effigiato in una tela, riportata qui,  con  i colori della bandiera ucraina: il blu del cielo e il giallo dei girasoli e con un paio di cicogne bianche, anche quelle  simbolo ufficiale della nazione ucraina, che infatti vanta un certo primato in tema di promozione della natalità.

Lo ammette Joan Baez: mai avrebbe pensato di rendere omaggio a un eroe di guerra, ma, dice, quello che succede in Ucraina “ci ricorda le lotte meno pubblicizzate nei paesi in cui conflitti mortali hanno anche provocato milioni di sfollati” e vuole esprimere così la sua vicinanza “al coraggioso popolo che a mani nude affronta i carri armati die brutali invasori e al suo  presidente dall’audacia incontestabile sbalorditiva”, che, ricorda, prima della carriera politica faceva l’attore e in quella veste artistica ha partecipato a “Ballando con le stelle”. Anche Joan ama la danza e dunque si augura che venga presto il momento in cui “il presidente dal passo leggero si sentirà abbastanza libero per ballare ancora una volta”.

Dobbiamo una certa gratitudine a chi ha cantato Blowind in the wind o La ballata di Sacco e Vanzetti  ma ciononostante è bene ricordarle chi sono i promotori di quei conflitti mortali e i motori di quegli  esodi di disperati che non hanno meritato nemmeno un poster. O per suggerirle di vistare il sito della Nato per rassicurarsi in merito dell’equipaggiamento dei quei martiri disarmati.

E così non ci si può esimere dal paragonarla a quella dame inglesi che in  patria o nel loro buen retiro toscano diedero vita a gruppi di fanatiche di Mussolini, di sostenitrici della causa del fascismo incarnata da nerborute e maschie camicie nere, per le quali raccoglievano fondi e delle cui gesta si inebriavano bevendo un Lapsang Souchong, ritenendole le interpreti di un riscatto popolare negato ovviamente alle etnie remote e colorate dell’impero immeritevoli di affrancarsi.

Anche un’altra immaginetta sacra si è apertamente schierata con la resistenza ucraina. Si tratta di altro cantore, il poeta degli umili, dei diseredati legittimamente autorizzati a scendere in armi per difendere il proprio territorio, dedito al culto epico e eroico dei partigiani senza se e senza ma, intervistato da MicroMega.

Anche a Erri De Luca dobbiamo riconoscenza per la sua battaglia al fianco dei valligiani, ma proprio in ragione di ciò gli ricordiamo che senza fare gerarchie ci sono delle differenze tra la resistenza antifascista  che ha segnato il riscatto del nostro Paese e che non era solo una guerra di liberazione dallo straniero, e quel poco che conosciamo degli eventi che si svolgono in Ucraina, dove il contrasto all’invasore è nelle mani di un esercito regolare da anni equipaggiato e formato dagli americani e dove chi sta davvero scontando il conflitto fortemente voluto da una potenzia imperialistica con smanie di espansionismo commerciale e politico  è la popolazione civile di un paese tra i più ricchi di risorse ma che vivrebbe  nella miseria senza i quattrini che mandano le esiliate, a fronte della ricchezza oscena di un ceto dirigente spregiudicato e cinico.

Ma pare sia irrilevante per la svolta epica di De Luca: quando un popolo è in trincea per difendere al sua autodeterminazione che si dovrebbe tradurre nella consegna a una potenza occupante e ai suoi valori ideali che in Italia già occupata sono quelli del riarmo bulimico e dell’altrettanto avida  realizzazione di alte velocità, non c’è da fare distinzioni e da andare troppo per il sottile. In fondo quelle “minoranze” che dichiaratamente guardano all’ideologia nazifascista contano poco in Parlamento quindi  ora sono solo un dettaglio, proclama spericolatamente l’autoproclamato “partigiano della resistenza ucraina”,  e lo dimostra il fatto che “questi gruppi armati neonazisti si riconoscano in un presidente di origine ebraica”.

Altra immaginetta, altro culto. A schierarsi per l’invio di armi in forma di aiuto concreto al governo ucraino è Sergio Cofferati, anche lui dalle colonne infami di MicroMega,  che abbraccia entusiasticamente la tesi secondo la quale è “provvidenziale” questo scontro di civiltà contro la barbarie perché non solo ha risvegliato l’Europa che ora potrebbe essere pronta in forma unitaria a realizzare l’utopia di Ventotene, ma che ha anche l’effetto di costringere la “sinistra” a abbandonare velleitarismi divisivi che come sempre la caratterizzano.

Dichiarandosi convinto che  è  doveroso “fornire armi alla resistenza, fornire aiuti umanitari a chi vive lì e ai profughi e rendere massimamente efficaci le sanzioni economiche contro Putin, anche se questo dovesse avere dei costi anche per noi”, l’ex segretario della Cgil che ha segnato la via del più impietoso collaborazionismo con il padronato, oggi perseguito da Landini, denuncia i limiti dell’Unione che non ha una politica estera e nemmeno un esercito, senza chiedersi se queste mancanze non siano desiderate e promosse in modo che lo spazio venga preso da poteri sostitutivi, uno solo, quello della Nato e degli Usa che da oltre 70 anni decide la pace, poca, e la guerra, troppa, per noi, insieme a noi in veste di caporali di giornata ma di generosi finanziatori e contro di noi, oggi più che mai, trascinandoci in un conflitto del quale stiamo già pagando le conseguenze.

Anche lui si è arruolato nei corpi speciali dei contractor Nato, che avrebbero come motto Giustizia e Libertà, due concetti dei quali non conosce il significato perché non possono esserci né l’uno né l’altro se vige lo stato di necessità che governa  con le armi del  ricatto e dell’intimidazione.

Non ci resta che sperare che si mettano a fare i pompieri i ragazzi, spegnendo questi incendi tossici alimentati dal privilegio, dal profitto, dall’ingiustizia.