La notizia è di qualche giorno fa: la Fiat a Pomigliano ha avuto “l’idea geniale” come la definisce Marchionne di impacchettare le auto dei lavoratori di marca diversa da quella del gruppo e di apporvi un cuore spezzato. Come dire che la madonnina piange se fate peccato, anche se in questo caso la vergine dei dolori sarebbe l’ad di Fiat, il cui pelo sullo stomaco è così folto da fare invidia ai cinghiali.
Naturalmente la trovata è puramente pubblicitaria, una sorta di spot gratuito che sfugge anche alle elementari e ipocrite regole della comunicazione ingannevole: inneggia a una sorta di medioevale ius primae auto da parte dell’azienda che in qualche modo vorrebbe essere proprietaria anche dei lavoratori. Ma se questo è l’istinto “animale” nel senso capitalistico che ha mosso l’iniziativa, la sua finalità spottesca è diversa: quella di dire e far dire all’universo mondo dei media, sempre reverenti , che l’impacchettatura ero uno stimolo a “comprare italiano”.
In poche parole un modo per far credere a quella che è ormai una falsità: la Fiat Chrysler è un’azienda con sede in Olanda, che paga le tasse a Londra ed è quotata a Wall Street. Di italiano non c’è rimasto proprio nulla, se non qualche stabilimento dal futuro assai incerto. Questa globalizzazione che esclude proprio il Paese dove l’azienda è nata e dove è sopravvissuta grazie a giganteschi aiuti pubblici di ogni genere, è una miserabile risposta non alle sfide del mercato, ma alle esigenze degli azionisti: la sede olandese, grazie alle diverse leggi, garantisce agli Agnelli il controllo totale anche con solo il 30 per cento delle azioni, l’insediamento londinese serve a ad avere qualche sconto di tasse sui dividendi fatti all’estero e naturalmente Wall Street è l’obbligatorio correlato alla scalata della Chrysler oltreché la piazza naturale per chi ha già deciso di trasferire in Usa il grosso della produzione. Una fuga simbolizzata anche dal nuovo nome della marca, Fca che in italiano è decisamente goliardico anche se mette le auto in quota rosa e anche pronunciato all’inglese suona come più o meno come ” e fesso sei”.
Ma Marchionne sa bene che gran parte del mercato italiano, senza il quale ancora oggi la ex Fiat farebbe numeri da mercato delle pulci in Europa, è legato all’immagine nazionale del gruppo. Quindi tenta di ribadirla al di là di ogni evidenza attraverso azioni pubblicitarie spurie. Ed è esattamente ciò che ci meritiamo: per decenni il sistema politico ha impedito che arrivassero in Italia case concorrenti alla Fiat per non turbare re Gianni e non costringerlo a costruire meglio, ma poi ne ha facilitato e coperto la fuga. E adesso ci vengono anche a dire di comprare italiano.
Mi scuso per il grassetto involontario. Non sapevo che WordPress trasformasse la sequenza “minore b maggiore” in grassetto.
Buongiorno Marco, fino a ieri ero anch’io dalla parte di coloro che dicono “ma cosa vuoi che importi da dove si compri, bisogna comprare il meglio o il meno caro indipendentemente dalla sua provenienza”. Purtroppo gli eventi di questi ultimi tempi hanno dimostrato che non ci possiamo fidare del “mercato” perché senza che nessuno ce lo avesse mai detto il mercato non è un’entità naturale che si sviluppa secondo proprie leggi organiche ma una costruzione ideologica, una finzione, nata per consentire agli interessi economici e geopolitici transnazionali di imporsi con relativa facilità nascondendo la propria violenza sopraffattrice dietro un velo di scientificità e di apparente normalità. In questo senso riconosco di essere stato anch’io una “cicala” che si credeva intelligente ma era intelligente solo nei limiti di ciò che sapeva o pensava di sapere. Ossia, in ultima analisi, ben poco intelligente.
Purtroppo ora, però, anche a voler comprare italiano, che cosa è rimasto di italiano, tra incessanti acquisizioni di gioielli (o bigiotteria) di famiglia e continue delocalizzazioni di nostre aziende che reimportano da Cina, India, Bangla Desh, Polonia, Romania e Turchia tutto quello che viene poi venduto come “made in Italy”? Lei parla di FIAT: ma quante sono le componenti di un’auto FIAT prodotte in Italia? Di quanto è diminuito negli ultimi anni l’indotto? E, soprattutto, qual è la linea di tendenza in un mondo dove l’auto diventa un prodotto sempre più softwarizzato, dronizzato, interconnesso e, quindi, diventa una re-invenzione americana dove il contributo italiano è stato zero e sarà zero anche in futuro non fosse altro che per la ferrea logica brevettuale che impedirà legalmente la nascita di “cloni” nostrani?
Come non vedere che l’unica strada per ricostruire un’industria nazionale è quella di sbarrare la strada ai prodotti esteri, quand’anche questi fossero migliori o molto migliori dei nostri o si dovesse dire addio per sempre ai telefonini firmati, al sushi o alle Ford Fiesta? Ricostruire l’industria nazionale significa avere una strategia di completezza che impone di avere produttori italiani in tutti i comparti produttivi, e non solo in quelli cosiddetti strategici, abbandonando la logica transatlantica che vuole l’Italia centro di produzione turistica e basta.
Dobbiamo avere auto di produzione italiana con il 100% dei componenti e dell’elettronica creati da noi, dobbiamo avere un’internet italiana con server e siti sociali esclusivamente italiani (come si fa in Cina o, con minore successo, in Russia). Dobbiamo avere software per ufficio esclusivamente italiano, linguaggi di programmazione che usino l’italiano e non l’inglese in modo che il “tag” diventi una “etichetta” e il comando (bold) sia espresso con (grassetto).
Proprio nel settore del software l’Italia ha dimostrato la propria incredibile inerzia e cicalaggine. Per costruire software e linguaggi di programmazione non è necessario alcun investimento di capitale, ma solo intelligenza, pensiero logico e creatività. Che cosa ha fatto l’Italia nel campo del software? Poco o nulla. Siamo rimasti al traino degli Stati Uniti anche quando usiamo sistemi open source o Linux (finlandese di origine, ma americano di adozione) che proprio in queste settimane rivelano preoccupanti deficit di sicurezza al punto da aver compromesso la quasi totalità dei siti internet mondiali.
Non voglio poi insistere più che tanto sul fatto di dover avere una politica energetica italiana, rivolta allo sfruttamento delle risorse disponibili nel nostro paese (risorse che saranno sempre nascoste quando non fa comodo ai nostri padrini internazionali, vedi il caso del gas sottomarino presente a Cipro e in Grecia che solo recentemente è stato “ufficializzato” nonostante i geologi ellenici ne conoscessero da decenni l’esistenza).
E dobbiamo, infine, avere anche un esercito e dei servizi segreti capaci di difenderci dai nostri “amici” oltre che dai nostri nemici.
E’ un discorso complesso. Talmente complesso che realizzarlo sarebbe… un gioco da ragazzi. Basterebbe non avere le catene che ci impediscono di camminare con le nostre gambe.
Sig.Fusco , io per sua conoscenza compro italiano da quando sono nato e sono tanti anni e comprerò sempre italiano , io arrivo da una region che negli ultimi 20 anni ha visto la distruzione della Olivetti, della Bull computer, delle Macchine Utensili , nella mia region sono stati persi piu’ di 50.000 posti di lavoro , tante persone compravano computer IBM , macchine utensili estere ecc. io parlo con dei fatti
le auguro buona giornata
Marco
Ho come la sensazione che il signor Marco, il giorno che gli tolgono la colonia per i figli, o peggio, lo licenziano, cambierà immediatamente parere…
In Francia, comprano 80 x 100% francese , in Germania lo stesso , solo in Italia abbiamo la buona cultura di denigrare il nostro prodotto , di dire che le fiat sono care , che si guastano spesso , ma non mi risulta che la concorrenza regali le vetture e che non abbiano officine di riparazione, Questa e’ una mia modesta opinione come dipendente di un’Azienda che da molti anni a fine mese puntuale mi da lo stipendio, manda in colonia i miei figli, mi garantisce una mutua privata , da le borse di studio , insomma mi permette di vivere in modo normale . Se piu’ nessuno compra Fiat , tutto finisce . Piccola considerazione : uno di fiat in cassa 5 dell’indotto , la matematica non e’ un’opinione. Meno personale che viaggia , che prende aerei , che va negli hotel , nei noleggi , nei ristoranti.
Si produce poco , la gente va in cassa e taglia tutto quello che può : ferie,cinema , pizzerie , bar . Questa e’ la fotografia dell’Italia che lavora poco , perchè non produce .
ancora cordiali saluti
Marco
“Ma comprerò volentieri una FIAT quando Marchionne (o chi per esso) guadagnerà non piu’ del doppio dell’operaio che lavora alla catena di montaggio.”
Cioè…mai ???
Fino a non molto tempo fa, qui negli US of A, l’acronimo FIAT era contrazione di “Fix It Again Tony”. Poi per anni la frase cadde in disuso anche perchè di macchine FIAT non se ne vedevano piu’. Oggi data la fusione con la Chrysler, e per fortuna della FIAT, l’estensione dell’acronimo e’ stata abbastanza dimenticata.
Tuttavia, forse visti i precedenti, la FIAT 500 e’ stata promossa in sordina, versione quattro ruote di “Pane, Amore e Fantasia”, ma non troppo. Se ne vedono in giro, ma non tante.
La Chrisler, come la General Motors, e’ fallita per poter riaprire dimezzando la paga degli operai ed eliminando le sudate rivendicazioni sociali che iniziarono con il “New Deal” di Roosevelt. Oggi dicono tutti che i profitti della Chrysler sono ottimi, anche se le dichiarazioni ufficiali sono abitualmente sospette. Vale l’adagio diventato regola, “Don’t believe anything until it’s denied.”
Da inesperto consumatore ho trovato le macchine FIAT, che ho avuto l’occasione di guidare, piu’ che soddisfacenti. Tuttavia, da sognatore vegetariano quale sono, quando posso mi sposto in bicicletta. Ma comprerò volentieri una FIAT quando Marchionne (o chi per esso) guadagnerà non piu’ del doppio dell’operaio che lavora alla catena di montaggio.
http://www.yourdailyshakespeare.com
marco, uno compra un’auto, si presume, per le sue caratteristiche, non perche` “dell’azienda di stato”, non siamo mica nella corea del nord, fino ad ora questa logica e` servita ad ingrassare la famiglia agnelli con i soldi dei contribuenti italiani, il fatto che vi sia una ricaduta economica e` solo un incidente di percorso, quasi una cosa non voluta, verrebbe da dire
invece che all’autore di questo articolo, lo vada a dire agli azionisti e al peloso marchionne, di fare il corso che suggerisce, perche` e` abbastanza evidente che a loro della suddetta politica economica non importa una beata mazza, la mission aziendale e` intascarsi piu` soldi possibile, alla faccia di chi ce li mette e di chi ci lavora
lei non lavora in FIAT , non parlerebbe cosi altrimenti, perche’ se piu’ nessuno compra fiat , gli stabilimenti e i fornitori chiudono , secondo me dovrebbe fare un corso di buona e sana politica economica
le porgo cordiali saluti
Marco Stratta
L’ha ribloggato su Per la Sinistra Unita.