La fine della tregua dovuta alle elezioni americane è questione di due giorni e così  il problema greco sta per riesplodere con tutta la sua violenza. E dico la violenza della povertà imposta a un Paese, la violenza dei diktat della troika, la violenza dell’ottusità con cui ricette rivelatesi disastrose vengono comunque applicate per gli interessi delle banche e della salvezza dell’euro. Ma dopo tre o quattro mesi di relativa calma, c’è la tentazione di fare un salto di qualità. Di fronte a conti sempre peggiori e a un governo ormai in bilico, di fronte a una popolazione in rivolta, i poteri finanziari in comunione con quelli di Bruxelles stanno varcando una soglia che non avevano osato sorpassare fino ad ora: il passaggio da una colonizzazione de facto, attuata attraverso pressioni e manovre sul sistema politico greco a una colonizzazione formale con leggi e provvedimenti imposte dall’esterno.

Secondo quanto riportano alcuni giornali finanziari di lingua tedesca, la Wirtschaftwoche e il Format Trend (qui per l’articolo gratuito), i ministri delle finanze dell’Eurogruppo stanno pensando di” forzare l’esecuzione delle riforme in Grecia anche senza il consenso dei rappresentanti del popolo” In una relazione preliminare al summit in programma per il 12 novembre, si legge “La Grecia deve attuare le riforme a cui è chiamata in dodici mesi.Dopo la scadenza, le riforme dovrebbero automaticamente diventare legge, anche se il Parlamento non ha dato il suo consenso.”

Siamo di fronte a un fatto enorme che getta un’ombra  sconvolgente sul senso e la direzione che sta prendendo questa Europa, divenuta ormai uno strumento di inquità e un manganello dei poteri finanziari. I Paesi forti, terrorizzati dai loro stessi errori e dall’evidenza del fatto che la Grecia non potrà pagare i suoi debiti, visto che grazie alle imposizioni della troika il debito è arrivato alle stelle e salirà al 189% del Pil l’anno prossimo, quando il livello massimo per rientrare sarebbe del 120%, sono decisi a strappare ogni velo formale di sovranità e fare della Grecia una colonia. Anni di errori e di egoismi ciechi oltre che di ottuso ideologismo hanno portato a questa situazione del tutto assurda: i prestiti non possono non essere concessi per evitare l’uscita dall’euro che innescherebbe una fuga di tutta la periferia europea dalla moneta unica. E allora si legano gli “aiuti” a massacri sociali indegni e dannosi   perché fanno crollare l’economia, massacri che però i governi nazionali non sono sempre in grado di imporre. Un comma 22, insomma e tuttavia imposto dalla pressione dei poteri finanziari, dal sistema bancario e anche dagli interessi elettorali e di breve periodo dei Paesi forti. Poi, una volta spremuto il limone, si potrà lasciare la presa.

E’ questo che spinge  a decretare la colonizzazione. Con la minaccia, velata ma concreta  che questo possa accadere anche per la Spagna e per l’Italia: nell’Eurogruppo infatti adesso si parla di far firmare a noi e a Madrid impegni formali per le “riforme”, a prescindere dalla richiesta di aiuto: in questo modo ci sarebbe il pretesto per interventi che scavalchino i Parlamenti. Non è certo un caso che mentre queste prospettive prendevano forma nelle riunioni dei ministri finanziari, in Grecia è cominciata una sorta di campagna di  delegittimazione della classe politica al cui centro c’è un giornalista di fede reazionaria: prima è apparsa una lista Lagarde di cui nessuno sapeva nulla (qui), ieri è venuto fuori un minestrone di notizie, peraltro già risapute che però spostano il peso delle responsabilità dalla troika ai poteri locali (qui). In questo modo si spera che lo scavalcamento del Parlamento, se dovesse rendersi necessario, crei meno resistenze.

C’è anche un altro fattore che interviene in tutto questo: tenere in piedi la Grecia con la respirazione artificiale consente di non dover ammettere l’artificialità della “teoria del debito” e il suo fallimento: farlo significherebbe far perdere di senso alle politiche di “austerità” e compressione dei diritti del lavoro che vengono attuate anche nei Paesi ricchi. In Germania ci sono milioni di persone che vivono con 500 euro al mese o con lavori estremamente precari: il disagio sociale cresce, si accumula  e rischia di esplodere. Il feticcio di una Grecia sull’orlo del baratro perché non vuole le “riforme” e non fa i i compiti a casa, secondo la vulgata della stampa mainstream tedesca, fa comodo. E non solo in Germania, anche tra i valletti della Merkel.