Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ma non sarà che per assicurarsi la desiderabile copertura mediatica che meriterebbe una manifestazione di lavoratori che scendono in piazza per difendere il posto e il salario, sia necessario che Casa Pound o Forza Nuova si prestino benevolmente garantendo l’infiltrazione di opportuni provocatori, che qualcuno si abbandoni a esuberanze che permettano alla stampa ufficiale di dar voce alla unanime richiesta di ordine e senso di responsabilità in presenza di una apocalittica emergenza sanitaria?

Si direbbe di sì, a vedere che qualche fumogeno non è bastato a rompere il silenzio stampa calato sulla mobilitazione dei dipendenti della Gkn che hanno sfilato il 18 a Firenze. L’azienda invece aveva conquistato i titoloni qualche tempo fa per aver raccolto la sfida digitale, combinando la tradizione del licenziamento senza preavviso con l’innovazione del ricorso al supporto informatico, per annunciare a   422 operai  dello stabilimento di Campi Bisenzio che restavano a casa.

Si sa che di questi tempi il rispetto del bon ton è prioritario e infatti ci fu una sollevazione unanime per la incauta modalità scelta dalla multinazionale produttrice  componenti per l’automotive: non si fa così, ha fatto intendere perfino il Ministro del Lavoro condannando una procedura “che può  essere accettata e su cui bisogna trovare tutti gli elementi per scongiurarla”, che ha colto l’occasione per ricordare le sue caute perplessità riguardo alla decisione del governo di concludere la fase eccezionale del blocco dei licenziamenti, dubbi subito rientrati grazie alle rassicurazioni offerte sull’impegno dell’Esecutivo per concretizzare una “profonda ristrutturazione del sistema degli ammortizzatori sociali”.

Anche la  Fiom-Cgil di Firenze e Prato, competente territorialmente, nel rammentare il precedente della Bekaert di Figline e Incisa che aveva usato le stesse modalità per avvertire i dipendenti a delocalizzazione avvenuta in Romania, aveva denunciato il “comportamento intollerabile dell’azienda” e perfino Confindustria ha lasciato capire di preferire il cartaceo,  la lettera raccomandata con Rr, se proprio si deve far scendere qualcuno dalla barca  su cui stanno non solo  il capitale umano, entità trascurabile, ma soprattutto le aziende dell’indotto minacciate dalla crisi dell’azienda.

La Gkn dal canto suo ha motivato la sua decisione incompatibile con le regole della buona educazione, con  lo choc traumatico subito dal suo management, quando le previsioni di fatturato per lo stabilimento di Campi Bisenzio per il 2025 si sono attestate su circa 71 milioni di euro, importo inferiore di circa il 48% rispetto ai livelli di fatturato del 2019, prima della pandemia.

Insomma gira o rigira è sempre colpa del Covid, non della sua gestione, se come ha dichiarato l’azienda, ha comportato una inattesa contrazione dei volumi del comparto automobilistico, spiega l’azienda,  “prospettando una non sostenibilità dello stabilimento di Campi Bisenzio che non è nelle condizioni di ricorrere all’utilizzo di ammortizzatori sociali” da cui si è giunti alla “indifferibile e irreversibile decisione di chiudere lo stabilimento e cessare ogni attività presso di esso“, lasciando a casa   quattro dirigenti, 16 quadri, 67 impiegati e 335 operai.

Quante volte in quasi due anni abbiamo sentito dire che il buio che stiamo attraversando è un incidente globale, imprevedibile e incontrastabile se non si ricorre a rinunce collettive e individuali, che si tratta di una emergenza sanitaria da affrontare e contrastare con gli strumenti messi a disposizione dalla scienza e dalla tecnologia.

Quante volte abbiamo sentito dire che ha da passa’ a nuttata, che l’elaborazione del lutto  e la  fatale necessità di ricorrere a leggi speciali, autorità  eccezionali, inderogabili sospensioni di garanzie e diritti raccomandano di soprassedere con la critica e l’opposizione, concedendo alle autorità la doverosa fiducia e sottoscrivendo le obbligatorie cambiali in bianco.

E quante volte abbiamo dovuto difenderci se sollevavamo dubbi, se contestavamo dati e statistiche, se esercitavamo il minimo sindacale di critica all’operato del Governo impegnato a tradurre in misure repressive e limitative della democrazia, lesive del ruolo del parlamento e delle prerogative della partecipazione popolare al processo decisionale, i dogmi di una “comunità” di tecnici assoggettati agli interessi opachi dell’industria, dall’accusa di essere posseduti dai fantasmi irrazionali e primitivi del complottismo.

Abbiamo vissuto indirettamente e incolpevoli la vergogna di uno stuolo di intellettuali in mascherina che esibivano la vaccinazione come una patente di lungimirante senso di responsabilità e  altruismo, che rivendicavano l’appartenenza all’antifascismo sottoscrivendo appelli indifesa di un governo che scriveva leggi sotto dettatura di Confindustria smentendo la Costituzione e tradendo i suoi principi.

Abbiamo subito l’adesione  ideale di gente, che si richiamava al pensiero antagonista e anticapitalista, a misure intese alla discriminazione e alla criminalizzazione in nome dalla salute pubblica, quella che non viene più tutelata da decenni, quella consegnata al circuito privato dopo essere stata talmente impoverita da rappresentare un passivo insopportabile che è meglio cedere.

Abbiamo dovuto sopportare che si desse credito a tecnici e competenti la cui carriera è stata alternativamente contrassegnata da fallimenti, profezie contraddette dai fatti, previsioni sbagliate, e da prestazioni eseguite al servizio di potentati esterni e intese a svendere i beni del Paese,  consolidando la convinzione che questa sia una nazione condannata alla subalternità, alla gregarietà, e giustamente retrocessa a espressione geografica secondo le regole dell’imperialismo che ormai si applicano anche all’interno di aree regionali.

Saremo cospirazionisti, ma tutto concorre a far pensare che, sfuggito o no da un laboratorio con tutta probabilità operativo nelle geografie della civiltà superiore, il covid responsabile di ogni male si confermi come la più generosa opportunità offerta dal dio capitale per una poderosa ristrutturazione, chiamatela Grande Reset se volete, idealmente riferibile all’immaginario liberista e affidate concretamente a personalità distruttive che fanno del vile affarismo, del servilismo feroce dei lacchè, del cinismo brutale i caratteri per arrivare a una auspicata soluzione finale che promuova sempre di più l’accumulazione compulsiva dei ricchi dominanti, bulimici ma sempre più avidi e cancelli tutto quello che sta sotto il loro tallone, medio piccolo, non strutturato, esposto alla prepotenza e alla cupidigia, inferiore quindi, immeritevole e alla lunga parassitario.

E dire che di macchinazioni ne abbiamo subite e dovrebbero bastare per riconoscerle e capire quando interessi criminali cooperano, quando l’intento esplicito è la sopraffazione di classi, ceti e categorie, la soppressione di diritti e delle garanzie conquistate, la riduzione di democrazie già sofferenti a simulacri quando non a coalizioni di marionette  i cui fili sono tenuti da remoto, la circolazione di capitali finanziari con l’equipaggiamento di strumenti balordi e tossici utilizzati per dissanguare i bilanci pubblici, affamare i risparmiatori ingannati e demolire lo stato sociale.

Come non vedere chi sa approfittare dunque del conferimento dello status di apocalisse, di emergenza globale di una patologia che oggi sappiamo essere curabile in condizioni normali, quelle appunto garantite da sistemi di assistenza e cura ispirate al benessere collettivo,  in modo da osare quello che prima era quasi impossibile, lo scardinamento dello stato di diritto, lo stravolgimento della percezione di quello che è giusto e ingiusto. E come non vedere che quelli che avevamo incaricato di rappresentarci da tempo si sono svenduti, chi per mediocrità, per interessi personali o corporativi, chi perché posseduto dalla convinzione codarda che non c’è possibilità di costruire un’alternativa allo status quo.

La scarsa “pubblicità” data e non a caso alla manifestazione dei dipendenti della Gkn la dice lunga sulle probabilità che la Fiom rovesci il tavolo ( o alla mensa comune difesa così strenuamente dalle restrizioni del green pass) cui siede con Cisl e Uil, per scegliere una strada apertamente conflittuale, che avrebbe la potenza non solo simbolica di replicarsi in altri contesti e ben oltre questa vertenza.