Anna Pulizzi per il Simplicissimus
Il dramma palestinese si consuma alternando momenti di devastazione a pause più o meno lunghe di sofferenza silenziosa, lontane dal circo mediatico. E tutto laggiù somiglia – almeno se visto da qui – alla dinamica della crosta terrestre, che si muove ogni giorno ma ce ne accorgiamo solo quando il lampadario oscilla, nel migliore dei casi. Così anche nel silenzio dei notiziari gli eventi prendono ugualmente forma ed uno di questi è costituito dalle elezioni palestinesi, che dovrebbero svolgersi dopo ben quindici anni dalla volta precedente ma che sono state ancora rinviate di qualche mese, scatenando le proteste dell’opposizione.
Il quasi 86enne Mahmud Abbas, meglio conosciuto come Abu Mazen e presidente di uno Stato che continua di fatto ad esistere solo come comunità dispersa in varie enclave, ha giustificato il rinvio dicendo che non si può votare senza la partecipazione dei residenti a Gerusalemme Est, da cui il suo partito Fatah ricava gran parte dei consensi. Chi sta impedendo ai palestinesi di votare in città è però il governo israeliano, con argomentazioni piuttosto inconsistenti e relative al clima non proprio pacifico nei quartieri orientali tra provocazioni e reciproche spedizioni punitive.
Naturalmente le truppe israeliane sarebbero capacissime di garantire lo svolgimento delle operazioni di voto ma forse prevale l’interesse a non provarci nemmeno, ignorando anche la proposta fatta da diversi partiti di consentire il voto nelle moschee, nelle chiese e presso la locale sede dell’Onu. E magari si tratta del medesimo interesse che ha spinto AbuMazen a decidere per il rinvio a luglio delle elezioni, dato che dopo quindici anni al vertice è dato perdente nei sondaggi. Il voto palestinese non è apparentemente assimilabile a quello di uno Stato i cui confini e sovranità sono chiaramente riconosciuti, ma è comunque un evento attraverso cui si va a confermare o modificare l’assetto interno per ciò che riguarda gli incarichi a livello amministrativo ed entro certi limiti la qualità delle relazioni tra la comunità palestinese e le istituzioni israeliane.
C’è al momento una convergenza di interessi tra il governo Netanyahu e quello di AbuMazen; entrambi vorrebbero impedire la probabile vittoria elettorale di Hamas, partito meno incline a trovare accomodamenti con Israele. D’altra parte non è molto comprensibile il fatto che Hamas si dia da fare per scatenare la reazione israeliana ed il prevedibile rinvio delle elezioni proprio mentre ha l’occasione per primeggiare e mandare all’opposizione i sostenitori di AbuMazen. Che senso può avere per Hamas provocare la distruzione dei gangli principali della propria presenza a Gaza, divenuti l’obiettivo dei bombardamenti? Da qui il sospetto che le cose siano un po’ più complesse di come sembrano. Nell’Occidente così sensibile alla sofferenza di ogni popolo salvo di quelli i cui destini vanno sacrificati ai suoi interessi, sale l’indignazione per la rappresaglia di Israele con conseguente carneficina tra la popolazione civile. Non è certo la prima volta che accade, mentre le abitazioni civili di Gaza sono tra le vittime sacrificali preferite per tutti i premier israeliani, i quali sanno bene che premere il grilletto ottiene il plauso dei loro connazionali ben più dell’intavolare trattative di pace. Se i sanguinosi accadimenti di questi giorni sono il frutto non proprio fortuito di interessi comuni e a dir poco spregiudicati tra Netanyahu e Fatah, laddove il primo favorisce una fazione palestinese relativamente accomodante e la seconda evita la sconfitta elettorale, ciò non fa certo di Hamas il partito dei giusti e dei virtuosi, a dispetto del nome che in arabo significa all’incirca ‘ardore’ o ‘entusiasmo’.
Da sempre piuttosto vicina alle posizioni ortodosse dell’islam sunnita, Hamas non si è distinta soltanto per la lotta contro l’occupazione israeliana ma ha un ruolo anche nella repressione del dissenso interno e nell’imposizione di rigide regole religiose. Inoltre si è impegnata nella guerra di aggressione alla Siria, dove le sue brigate al-Qassam combattevano a fianco dei tagliagole islamisti contro il legittimo governo Assad, trovandosi perciò paradossalmente a favorire i desiderata israeliani. Ciò non esclude da questo ed altri scenari geopolitici la presenza di vittime e di innocenti, laddove spesso le due categorie coincidono. Ma la realtà è alquanto prosaica e ogni spontanea emozione rischia di diventare una risposta comprensibile ma nel contempo inadeguata. Ecco perché al di là della solidarietà per un popolo che soffre le conseguenze della guerra e anche delle invivibili pause che si riesce a ritagliare nel mezzo, trovo difficile schierarmi convintamente per uno degli attori politici in campo.
persino i commenti automaticamente tradotti in inglese dalla macchina. Ma mi facciate il piacere!
è questo massacro indiscriminato che nonostante le ragioni di una o dell’altra parte è sadismo allo stato puro
Da sempre piuttosto vicina alle posizioni ortodosse dell’islam sunnita, Hamas non si è distinta soltanto per la lotta contro l’occupazione israeliana ma ha un ruolo anche nella repressione del dissenso interno e nell’imposizione di rigide regole religiose. Inoltre si è impegnata nella guerra di aggressione alla Siria, dove le sue brigate al-Qassam combattevano a fianco dei tagliagole islamisti contro il legittimo governo Assad, trovandosi perciò paradossalmente a favorire i desiderata israeliani. Ciò non esclude da questo ed altri scenari geopolitici la presenza di vittime e di innocenti, laddove spesso le due categorie coincidono. Ma la realtà è alquanto prosaica e ogni spontanea emozione rischia di diventare una risposta comprensibile ma nel contempo inadeguata. Ecco perché al di là della solidarietà per un popolo che soffre le conseguenze della guerra e anche delle invivibili pause che si riesce a ritagliare nel mezzo, trovo difficile schierarmi convintamente per uno degli attori politici in campo.