Anna Lombroso per il Simplicissimus
Non resisto e cedo alla tentazione di commentare il dibattito estivo, mai come quest’anno sotto l’ombrellone e mai come quest’anno ispirato dalla volontà di distrarre le plebi con circenses ideologici a alto contenuto spettacolare, vista la circolazione di fanciulle così intabarrate da suscitare il sospetto di essere figuranti di cinecittà o dell’omologa francese.
Ma mi sottrarrò a quella di dire la mia a proposito delle caute esternazioni di quel che resta del pensare femminista e più ancora degli appartenenti a quella che autodefiniscono l’altra metà del cielo, quella che conta, mentre la nostra, di donne, somiglia a tutte le latitudini una metà dell’Ade, sempre pronti a impartirci lezioni di autodeterminazione. Perché ad ambedue questi “pubblici” varrebbe ricordare che la rivendicazione di autonomia e indipendenza rispetto a culture patriarcali e ai loro condizionamenti non sembra coerente con la sopportazione di leggi liberticide, della rimozione del pari accesso ai diritti per gli omosessuali, della vigenza di discriminazioni nel trattamento economico, della condanna, recuperata come valore ancestrale, alla scelta, invece obbligata, del lavoro domestico, della tolleranza espressa da media e popolazione per dirigenti puttanieri e per i loro vizi, comunque di gran lunga inferiore a quella esercitata per inclinazioni golpiste, dall’incidenza tragica di violenze domestiche e omicidi (uno su tre) originati da “moventi” di genere e spiegati in modo generalizzato, da una aberrazione del sentimenti d’amore. Ed anche dall’assoggettamento a stili di vita e modelli estetici che impongono una somatica di regime soprattutto alle donne, tutte necessariamente levigate, magre, seduttive, sensuali, giovami.
Insomma mi pare che abbiamo ben poco da insegnare a altre in tema di affrancamento dalla soggezione e poco vale ritornare su dibattiti angusti a proposito di falò di reggiseni ostentati come gesto simbolico di liberazione a fronte di popolazioni femminili che guardavano a quel “sostegno” come a un indicatore di emancipazione.
Meno che mai ho voglia di spendere parole per il largo fronte Salvini, Valls, Santanchè, per i quali, ma non solo per loro, le limitazioni della libertà sono inevitabili per ragioni di sicurezza, peccato che si tratti sempre delle libertà degli altri e della sicurezza loro. Pronti perfino a trovare irrinunciabili valori di civiltà e forse anche comuni radici cristiani nei bikini, in modo da alimentare sentimenti di avversione e deliri di superiorità, da nutrire inimicizia, sospetto e conseguente sopraffazione. Se appunto se ne fa una questione di identità da tutelare, visto che siamo in guerra e abbiamo già patito, dicono, l’affronto dell’abiura di un altro simbolo inalienabile: Tu scendi dalle stelle, per voci stonate in qualche parrocchia di Rozzano, decisa da un dirigente scolastico in vena di caricaturale esibizione di secolarismo.
Sono fenomeni preoccupanti, non si tratta di folklore e vanno additati come la punta di iceberg che navigano pericolosamente nel nostro mare. Ma può esserci di peggio.
Oggi a difendere l’ipotesi peregrina del divieto di burkini (solo a dirlo mi pare di cadere nel ridicolo) si levano voci che potrebbero dimostrare come laicità e culto della libertà possano sconfinare in un irragionevole fanatismo e in forme di autoritarismo. Uno dei più accreditati apostoli della laicità, casualmente, ma non poi tanto, maschio, Flores d’Arcais si esibisce in un’invettiva sdegnata contro l’oscurantismo che impone alle musulmane i segni concreti della oppressione sessuale, dell’egemonia proprietaria maschile sui corpi femminili. Permetterli, dice, sarebbe come avallare e mitridatizzarsi visivamente a questa ripugnante disuguaglianza tra i sessi. Quindi, sostiene, raccontarsi che indossarli sarebbe una libera scelta è un’ipocrisia: una scelta è libera se a esercitarla è qualcuna al riparo fin da bambina da ogni minaccia e paura, cresciuta coltivando spirito critico e autodeterminazione.
Verrebbe da rispondere come tante musulmane poco ascoltate (è proprio un’abitudine in tutte le geografie) che per loro il burkini significa invece indipendenza, la possibilità di farsi un bagno in una spiaggia tra la gente, insomma un sia pur modesto gesto di socialità e rispetto di sé e dei propri desideri.
Ma si deve invece andare un po’ più a fondo, quando la “paternale” – è il caso dirlo – quando il sermone pedagogico arriva non solo da un pulpito maschile, e già basterebbe, ma esprime una pretesa di innocenza e una rivendicazione di superiorità che non è audace interpretare come la manifestazione del totalitarismo occidentale, quello che si propone come unico “proprietario” e detentore di valori e principi coerenti e compatibili con la democrazia, che appunto esporta tramite bombe, della solidarietà, che propaga con muri e nuovi confini e recinti, della uguaglianza, che cancella grazie a ordinamenti scritti da quegli apostoli delle giurisprudenza sotto dettatura delle multinazionali, che si vanta del suo “capitalismo compassionevole” quando sostituisce la giustizia con l’elemosina.
Si vede che qualcuno a questo export spericolato di rafforzamento istituzionale, di aiuto umanitario, di valori democratici, attuato con vari istituti bellici, di volta in volta chiamati in latro modo rispetto all’antica definizione di guerra, pretende di aggiungere anche quella di “libertà” come se fosse una merce da far circolare, una lezione da impartire, un beneficio da imporre per l’altrui bene e non una conquista per la quale dovremmo offrire aiuto solidale, un riscatto in nome del quale dovremmo combattere anche qui da noi e ogni giorno, una componente irrinunciabile della dignità che dovremmo difendere insieme al rispetto delle persone, noi stessi e gli altri da noi, un ingrediente intoccabile di quella felicità della quale non parliamo nemmeno più, come se in tutto il mondo fosse obbligatorio rinunciarvi insieme all’utopia e alla speranza.
Anna Lombroso: una botta di caldo e seguito visone Fata Morgana? Ma uno dice: ma come un commento altro sul burkinino? La crisi, meglio di no. L’Isis che viene bombardata da chi l’ha fabbricato, e meglio di no che s’incazza Cia&Mossad laudatores. Del Rio che mena can per l’aia, dopo Andria e Corato crash, manco a dire…Di Majo ridens via Trilaterale manco. Ora questi imbecilli di Stampa&Regime e ascari fonzine, tutti si fanno ammaliare da (ennesima) false flag. Distrazione di massa mentre a planisferio la Dea Madre amerikana sputa puttanate da pari meretrice. Troppo.
E ci spieghiamo con un’immagine, e come sennò per noi che ne costruiamo? A giocare tutti i giorni e Padreterneggiare, partendo dal fatto che maschi e femmine li creò proprio il pantocratore. Ma la nostra Lombroso, presa dal deliquio (seguito botta di caldo?) confonde scientemente con femminismo. Tardona: femminista cos’è un lapis spuntato di quel erotomane represso di Freud? E meno male che un sigaro, signora, ebbe a dire è pur sempre un sigaro mentre se lo mise in bocca, il sigaro ben s’intende. E ancora nell’intraveglia la nostra enfant terrible mena lacerti, smozziconi disarticolati di paroleche navigano sul mare di culture patriarcali: vale a dire? Intermittenza connessioni neuronali o il caldo, va a sapere dov’è il cortocircuito, furbettino.
Certo nel mazzo, eccezione per quelle donne, ecco la botta, dei resort esotici (erotici?) vanno a pecorelle, a sollazzarsi le occidentali che fuggono, sì, dal maschio represso (?!) però vuoi mettere un bel sigaro, lungo ambrato e patriarcale? Infatti prone se lo mettono, anche, in bocca…senza scomodare il Principe della risata.
Dunque torniamo a bomba, la notizia burkinesca (ma non si era fatta una guerra per liberare l’Afghanistan dal burka di donne (femmine?) afghane, mentre qui certe comari rotte a tutti venti di strada da abitatrici di Troia, e le amerikane a sbraitare per a giusti(forni)ficare lo stupro di quelle inermi genti e preservare il giro d’oppio?) e avessero le “musulmane” indossato più del nero il semplice velo bianco…uno chador immacolato, oh roba da leccarsi i baffi. Già il bianco e bagnato che s’incolla alla carne, che erotismo sublime come certe statue greche! Invece ci tocca (immagine alla Giovanni Gastel o un Oliviero Toscani tanto per dire qualcosa) il pelo sozzo colante ogni nefandezza di pube occidentale, e zizze siliconate in bella mostra. Culi di plastica, però in nome della Libertà, noblesse oblige. La Grande Illusione.
E il corpo (come reato?) delle donne è di esse medesime? Ma manco per il c…alcolo più elementare. La chirurgia docet o l’industria dello spettacolo: zinne e culi e boccucce di silicone alla Lilli Gruber, via Bildeberg. Ealtri tempi di quel sguaiato “il corpo è mio”. E’ l’industria stupid vien da ricordare a ‘ste quattro donne dell’occidente ebraico-cristiano-greco-romano frammassone.
Donnine, vuoi mettere, mentre ignude battono le spiagge, quando una volta era il “recinto” dei nudisti. Senza freni, però però dicono alle “musulmane” , su mostrate zizze e culi che così prendiamo il Potere dei repressi umanoidi. Pilù p’ tutt’ mentre si avviano alla cassa del Nuovo Ordine Mondiale.
Vals, infine, che è mala traduzione di valzer, ecco, punta il dito e s’immagina della mano, mentre commina multe alle musulmane, e sottobanco il sodale Cazeneuve (terribile se tradotto di italiano!) minaccia la poliziotta che ha ben visto la sceneggiata di Nizza: avete visto le maitresse di Stampa&Regime fare appelli in modo visione? Strano e pure la poliziotta è dell’Ordine delle donne qui con tanto di p…almares.
Lombroso la condizione alienante di un corpo nudo, fintamente libertario è per l’industria del consumo tout court, espropriazione del sé. Merce, sviamento di massa. False flag. Ordo ab Chao, la cifra! Il resto è abbaglio: errore, fraintendimento, malinteso, fallo, svista, cantonata, e granchio…
certo siamo messi peggio che nella Repubblica di Weimar, dove c’erano le invettive di Kraus. Mentre qua tocca sorbirci gli sproloqui di Manunzio, insieme a Flores, Santanchè, Salvini e altri. Che per fortuna non mi leggono.. E d’altronde nemmeno Manunzio mi legge come è evidente. Anna Lombroso
Troppo buona ma è il solito Argumentum ad hominem per togliersi dalle sabbie mobile cui cadrebbe: chi è cagion del suo mal pianga se stessa. Quanto ai signori in epigrafe nun’ ce ne po’ frega de meno, anche se molte cose dette da costoro sono condivisibile, se onestà e rettitudine fosse!
Manunzio foto&grafico