25-luglio-43-farabolaSono passati 73 anni dal 25 luglio del 1943, quando una monarchia ottusa e complice si accorse che la guerra era definitivamente persa e per salvare il trono si decise, con la complicità di gerarchi che speravano di reiventarsi politicamente, a sbarazzarsi del ventennale amico Mussolini, zotico irredimibile per la corte e i cortigiani, ma anche uomo insostituibile per la conservazione del potere in mano alle vecchie elites e a quelle nuove dell’industria. Lui, con elle maiuscola mi raccomando, aveva portato a termine una riconciliazione tra i Savoia e il Vaticano, ovvero tra la piccola borghesia risorgimentale in allontanamento dalla Chiesa e l’Italia guelfa dei cattolici, aveva regalato a “sciaboletta” la corona di cartapesta dell’impero, aveva ucciso i sindacati e la politica, insomma aveva congelato il Paese e sostituito la dialettica democratica con un sistema di corruzione istituzionale  che si svolgeva tra industriali, agrari e regime secondo le convenienze di affari privati e di consenso pubblico.

Per fare un esempio concreto e curioso basta andare al museo Smithsonian di Washington dove, nella sezione dedicata all’aviazione, ci si imbatte in un aereo con le insegne italiane e con il cartello che spiega “il miglior caccia della seconda guerra mondiale”. Ma allora gli Spitfire, i Messerscmhitt, gli Zero? Eh sì erano inferiori al Fiat G. 55 Centauro, entrato in servizio nel giugno del ’43, ma anche al Macchi Veltro e al Reggiane Re. 2005, più o meno entrati in produzione nello stesso periodo, vale a dire troppo tardi, quando non se ne potettero produrre che qualche decina. Anzi per un mese, nel febbraio di quell’anno, terminata la fase di collaudo, Goering accarezzò concretamente l’idea di abbandonare la produzione di caccia tedeschi per mettere in linea il Fiat e il Reggiane quelli italiani, idea che saltò solo perché essi necessitavano di quasi il triplo di ore di lavorazione e avrebbero notevolmente diminuito il numero di esemplari da immettere nel grande carnaio, come da nota di Speer dopo accurate analisi. Tuttavia la Luftwaffe calcolò che la sola industria italiana se fin dall’inizio avesse abbandonato la costruzione di aerei antiquati avrebbe potuto produrre ottocento esemplari al mese di velivoli all’avanguardia. Dunque la tecnologia c’era, ma il regime nel suo complesso lasciava che la Fiat e altre aziende areonautiche producessero e vendessero allo stato, antiquati biplani, velivoli costruiti a casaccio e in piccola serie, che non si dessero pena di progettare motori adeguati e facessero profitti stratosferici senza investire nel rinnovamento degli impianti e delle linee di montaggio. Questa logica regnava in tutto il comparto produttivo  anche in quello della guerra che avrebbe dovuto essere di riferimento per una dittatura alla ricerca di consenso e mitologia bellicista. Ci si limitava agli esemplari unici per le competizioni e quelle di affezione per i raid, lasciando che poi gli amici di regime facessero quello che pareva meglio per le loro casseforti e non certo per l’Italia, tanto le guerre coloniali come la demenziale conquista dell’Etiopia non ponevano eccessivi problemi, che vennero fuori invece durante la guerra di Spagna.

Qualcuno si domanderà la ragione di questo marginale escursus militare per parlare di un evento dalle complesse implicazioni politiche e storiche, che vanno dalla Resistenza al tentativo di una monarchia di salvarsi prefigurando agli alleati – attraverso Badoglio – un sistema repressivo e autoritario, capace di contenere il comunismo, sia pure con il ritorno a qualche rito democratico. E non credo che si trattasse solo di un’illusione: è la stata la guerra di liberazione a renderla tale. Quello che però mi appare da sempre incomprensibile è il motivo per cui ancora oggi possa esistere e ahimè non più nel sottofondo, un mito del mussolinismo e del fascismo, che oltre alla negazione della libertà, valore che per qualcuno è un peso insopportabile, si è rivelato anche come il calco della corruzione moderna e come un disastroso regime di palesi incapaci che ha mandato il Paese al macero. L’entrata in guerra dopo anni di magna magna e di politica dell’immagine, dopo spese enormi per strumenti antiquati25 luglio graffiti, con Stati maggiori ammuffiti e rimasti alla prima guerra mondiale, ancorché consapevoli dell’assoluta impreparazione, riassume al meglio tutta l’incompetenza morale e materiale della classe dirigente, la sua intrinseca cialtroneria: se anche fosse stato vero che sarebbero bastati mille morti per sedersi al tavolo della pace, il fascismo e il suo duce avrebbero comunque scoperto il loro bluff (vedi nota), lasciando il Paese in balia dell’alleato, come è puntualmente accaduto, oltreché vittima di un complesso di inferiorità.

Così, improvvisamente, il 25 luglio di 73 anni fa tutto cambiò nel tentativo di non cambiare nulla. Se non fosse stato per la Resistenza il fascismo sarebbe continuato con un’altra confezione e non è un caso che dagli anni ’90 sia cominciato anche il revisionismo sulla guerra partigiana: affinchè di nuovo ci fosse posto per i cialtroni di oggi.

Nota In realtà il bluff italiano fu scoperto fin dalle ore successive alla dichiarazione di guerra: tutti gli stati maggiori del globo si aspettavano come prima mossa la conquista di Malta, indifesa e data per persa dagli inglesi, che avrebbe consentito di dominare il mediterraneo centrale, ma nulla di tutto questo avvenne. E’una delle assurdità che hanno spinto ad ipotizzare una sorta di patto segreto con Churchill, ma in realtà piani per la presa dell’isola erano stati fatti fin dal 1938 solo che pochi giorni prima dell’entrata in guerra si scoprì che mancavano i paracadutisti ancora non addestrati, mancavano gli aerei necessari, mancavano i piroscafi per il trasporto truppe, mancavano reparti esercitati allo sbarco, mancavano persino le armi leggere.