Lo confesso: alle volte la banalità mi coglie di sorpresa e mi inquieta come lo sguardo che non sa vedere. Circola furibonda in queste ore una vignetta, quella che riporto a fianco, che  ci riporta all’inedito concetto che l’intervento occidentale ha a che fare con la sovranità petrolifera. Succede da duecento anni e cogliere questo aspetto del tutto scontato, è quasi come rinunciare a capire cosa c’è di nuovo.

Ma c’è anche una campana contrapposta che mi inquieta ancora di più: quella che s’interroga sul futuro della Libia e sulla sua unità, proprio in relazione al petrolio. In questo caso serpeggia fra le righe l’angoscioso interrogativo se dopotutto non fosse meglio il pittoresco, ma crudele tiranno con il quale era certamente più facile mettersi d’accordo. E in effetti il regime del colonnello è durato quarant’anni proprio perché non ha mai negato il petrolio a nessuno. Le frizioni con l’occidente sono state determinate dall’intenzione di Gheddafi  di dichiarare come acque libiche quelle del golfo della Sirte i cui fondali sono  ricchi di petrolio. Un contenzioso sull’oro nero futuro durato una decennio e sfociato poi nel bombardamento di Tripoli  e nell’attentato di Lockerbie.

Ma poi le cose si sono risolte e la Bp  è lì che trivella dal dicembre dell’anno scorso. Del resto già dal 2005 oltre cinquanta aziende del ramo petrolifero sono state invitate e stimolate da Gheddafi a impegnarsi nella prospezione ed estrazione dal golfo. L’unico ostacolo era stata l’Italia, vittima designata di possibili incidenti e maree nere, ma il terzo governo Berlusconi ha risolto le cose con baci, abbracci e sceneggiate.

In questo contesto che contemplava e contempla forti investimenti da parte delle imprese petrolifere, l’uomo forte di Tripoli era semmai una garanzia, qualunque cosa poi facesse ai suoi confini: che torturasse e uccidesse pure i migranti dell’Africa povera. Ed ecco la nostalgia del tiranno che ora viene fuori: l’occidente sa dove esportare la democrazia e dove invece temerla.

Quindi la decisione di appoggiare la ribellione con tutta l’alea che essa comportava è avvenuta per controllare gli eventi ed evitarsi anni di frizioni e attentati non favorevoli agli affari e magari  anche il pericolo che una rivoluzione finisse con l’essere più esigente con i signori del petrolio. Semmai si può notare l’attivismo francese a cui il nucleare non basta più e che aveva bisogno di accreditarsi presso la rivoluzione.

Tutto questo però fa i conti senza l’oste, cioè sui reali cambiamenti di società i cui equilibri a volte secolari, a volte determinati dal colonialismo, non tengono più e che per quanto controllati in qualche modo, porteranno a novità imprevedibili. Ed è in realtà proprio questo che l’occidente liberista teme: che non si tratti solo di affari. Per questo si ha in qualche modo nostalgia del tiranno o ci si consola con l’ovvia questione del petrolio, come a sperare che in fondo niente cambierà, che il mercato e il business sono ancora  con noi e dalla nostra parte. Che il sole dopotutto non è ancora tramontato, anche se sempre più persone in occidente prendono coscienza che quel sole è destinato a scaldare solo i ricchi. E che la democrazia non è solo un oggetto di scambio.