La disonestà premiata, in questo consiste la campagna elettorale del governo. Il bugiardo numero due dell’esecutivo che risponde al nome del ministro Tremonti, osannato da noi come una specie di Colbert e considerato altrove come un inaffidabile e untuoso dilettante dell’economia, ha finalmente calato la maschera, mostrando il retropensiero costante, ingombrante e repellente del berlusconismo.
Non ha fatto la solita promessa di ridurre le tasse, cosa alla quale non crede più nessuno, ma ha lanciato ad aziende e partite iva il vero segnale: ha promesso meno controlli e visite fiscali, in nome di un presunto diritto a dire “non mi rompete più di tanto”.
Le stesse parole denunciano l’inconsistenza giuridica delle intenzioni tremontesche, ma al tempo stesso la loro corposa realtà, il loro squallido obiettivo: quello di fare dell’evasione e della malafede il pilastro su cui si regge il Paese. La sua filosofia di fondo.
Come si vede l’ingiustizia del processo breve, si traduce subito in ingiustizia sociale che nemmeno più tenta di nascondersi e di paludarsi in qualche modo: una diminuzione delle tasse avrebbe rischiato di diminuire il peso fiscale su tutti e sui ceti più deboli, cioè sulla stragrande maggioranza del Paese, quella che non può evadere. Invece così, riducendo i controlli, già ampiamente sottodimensionati, si salvano i cavoli elettorali e le capre d i Umberto e Silvio. Si salva il mondo corrotto che il Cavaliere ha creato a sua immagine e somiglianza.
Certo sono solo promesse che lo stesso Tremonti può rimangiarsi quando vuole, uno sforzo straordinario di ambiguità per impedire che il malgoverno di Milano subisca una punizione alle prossime amministrative. E tuttavia rappresentano un salto di qualità, naturalmente verso il basso, tra la strizzata d’occhio, il non detto perché troppo vergognoso da dire e l’intento palese ormai rivelato senza vergogna. Giustizia ad personam e fisco ad electores. I poveri che devono pagare e i ricchi che possono godere del “non controllo”.
Lo streaking politico del berlusconismo. Ingiustizia fiscale è fatta.
Questo non è uno stato, ma un regime. Un parlamento asservito al dittatore, proteso ad approvare leggi ad personam. Uno scontro istituzionale con i magistrati che dovrebbero rispondere solo alla legge e li si obbliga ad inchinarsi davanti a un uomo senza dignità schifato all’estero, deriso e che noi dovremmo osannare come un’istituzione gerarchica del calibro del Papa. Un ministro che in questo guazzabuglio, sta per varare una manovra aggiuntiva che peserà sui poveri cristi, esproprierà della sua funzione la scuola, creerà eserciti di disoccupati e nuovi poveri. E invece di tagliare un parlamento infettato dal virus dell’autoritarismo riducendo parlamentari, sottosegretari, auto blu, consiglieri regionali alla Minetti non permettere l’utilizzo di aerei di stato usati per andare a vedersi una partita,si continua a umiliare questo paese in tutti i modi. L’Italia non appartiene più agli italiani ma è diventata la terra dei truffatori, dei traffichini dei concussi. Ecco cos’è la riforma epocale della giustizia.