Nuovo allarme per gli allarmisti climatici che da circa trent’anni ci vanno dicendo che molte isole sarebbero scomparse a causa del riscaldamento globale, una tesi che ha salvato molti governi degli stati isolani che, presi dall’orgia del turismo, hanno costruito dove non dovevano innescando fenomeni di subsidenza che poi cosiddetti scienziati scambiavano per innalzamento del livello delle acque. Un perfetto circolo vizioso, un feedback a delinquere. Oggi però un accurato studio cinese mostra che negli ultimi 20 anni una superficie di terra equivalente a 369,67 chilometri quadrati è stata aggiunta alle coste di 13.000 isole in tutto il mondo. Non è molto, certo, la superficie di un’area urbana di medie dimensioni come quella di Milano, ma basta a confutare i timori di una scomparsa delle isole particolarmente basse e soprattutto dimostra che siamo nel pieno di un’inversione di tendenza.

Il gruppo di ricercatori cinesi che ha usato sia i dati satellitari che le registrazioni di superficie ha dimostrato che in effetti una qualche perdita di terra si è avuta negli anni ’90, ma che poi c’è stato un recupero del territorio perduto a cui se ne è aggiunto di nuovo. E dire che l’anno scorso il Guardian, un quotidiano che funge da prefica climatica, aveva messo in piedi una sorta di lamento funebre per la prossima scomparsa dell’isola di Tuvalo: una fesseria totalmente gratuita visto che la massa terrestre delle 101 isole di Tuvalu è cresciuta del 2,9%, come ha dimostrato uno studio specifico. Inoltre un altro lavoro condotto su 30 atolli del Pacifico, riesaminando completamente i dati disponibili, ha rilevato che nessuno di loro aveva perso terra.

Il caso di scuola presentato negli ultimi vent’anni è stato quello delle Maldive ormai date per spacciate e assunte come manifesto del catastrofismo climatico grazie all’opera di Mark Lynas, un pasionario in cerca di attenzione, il quale assurdamente sostiene che il 99,9% degli scienziati sono concordi sul fatto che gli esseri umani causano tutti o la maggior parte dei cambiamenti climatici. Questo personaggio che vive degli allarmi che lancia e il cui reddito dipende dall’ampiezza di essi, arrivò a organizzare una riunione sottomarina del governo maldiviano nel 2009. Voleva essere una forma di clamorosa protesta, ma disgraziatamente si dà il caso che le Maldive siano una delle numerose aree che hanno visto recenti incrementi della massa terrestre. Altre aree includono l’arcipelago indonesiano, le isole lungo la costa della penisola indocinese, le isole del Mar Rosso e del Mediterraneo.

In realtà proprio le Maldive dovrebbero essere un manifesto non del cambiamento climatico di origine antropica, bensì della devastazione ambientale da parte di governi e popolazioni che hanno avuto un ruolo decisivo nella distruzione degli equilibri naturali in un senso che non c’entra un bel nulla con il clima. Lo stato maldiviano ha chiesto “riparazioni climatiche” ai cittadini del mondo sviluppato colpevoli della situazione, ma la verità è che il turismo ha drammaticamente aumentato le entrate delle Maldive ai livelli di primo mondo inducendo ad estrarre il corallo in quantità industriali per costruire porti, aeroporti e complessi turistici. Nel processo, la diversità della vita oceanica è andata perduta e le isole sono spesso meno protette dalle onde tempestose che possono fluire direttamente verso la costa. In un recente saggio , un gruppo di scienziati ed economisti ha accusato che l’estrazione del corallo “ha provocato un massiccio degrado delle aree pianeggianti e poco profonde della barriera corallina, con importanti impatti negativi sulla protezione delle coste”.

Lo studio cinese che è il primo di tale ampiezza è importante per contribuire a distruggere l’idea secondo cui molte isole basse semplicemente scompariranno sotto le onde nel prossimo futuro a causa del cambiamento climatico indotto dall’uomo. Mostra come i cambiamenti del litorale siano un processo persistente e continuo soggetto a molte influenze sia naturali che economiche e che molte isole sono aumentate di dimensioni negli ultimi tempi, nonostante un aumento millimetrico del livelli degli oceani, la cui misura esatta è tuttavia incerta e sempre più contestata.