Come forse qualcuno avrà letto,  nelle settimane scorse una nota marca di birra in Usa  è stata boicottata perché aveva fatto stampare sulle proprie latine l’immagine di un tizio che si identifica come una donna, tale Dylan Mulvaney  definito un’attivista LGBTQIAP+(chissa cosa significa) il quale poi era anche al centro di uno spot televisivo. Questa forma di pubblicità “sveglia” ( si fa per dire) ha causato un boicottaggio che non accenna ad affievolirsi nonostante che l’azienda produttrice abbia nel frattempo tentato di rimediare con siparietti pubblicitari in cui la birra in questione viene bevuta  da normalissimi etero e persino da tipi con testosterone alle stelle. che invece di parlare grugniscono  La stessa cosa sta avvenendo con l’altrettanto sveglia Disney i cui parchi giochi, Disneyland  e Disneyworld vengono progressivamente disertati creando una vera crisi societaria . L’azienda parla di dinamica dei prezzi di ingresso troppo vivace, ma viene difficile pensare che il 4 luglio- festa nazionale – le due strutture fossero semideserte solo per quale dollaro in più. E infatti i guai sono cominciati già dal novembre scorso quando l’AD della Disney Bob Iger si mise in testa, come fosse un capo partito, di voler combattere una legge della Florida che vietava  l’insegnamento di argomenti sessuali a scuola per i bambini dalla prima alla terza elementare.

Si potrebbe pensare che tutto questo riguardi solo l’irritazione di molti per l’imposizione di “modelli” che c’entrano ben poco con l’inclusività quanto  con lo scasso di valori consolidati per rimescolare i dadi  dei rapporti tra persone. Certamente questo elemento c’è ed è forte, ma il fatto che certi prodotti non si riprendono più dopo aver fatto ammenda e sostituito la trans  con l’omaccione e che anzi contemporaneamente ci sia un calo anche di altre marche del settore. ci dice che c’è anche altro, un disagio profondo che e riguarda il senso di artificialità e gratuità  che ormai restituiscono le grandi aziende che per qualche motivo ritengono di appoggiare l’agenda del reset. In realtà si può essere più o meno favorevoli a certi temi, ma si avverte che l’utilizzo degli stessi per vendere cose che c’entrano assai poco con le campagne politiche sta diventando negativo. Vale a dire che si avverte la pretestuosità d certe prese di posizione che vanno in sostanza a sostituire l’attenzione verso il prodotto con suggestioni di altro tipo.

Generalmente va diffondendosi una piccola imprenditoria fondata sulla cura del prodotto e non ossessivamente sul profitto e dunque anche  sui “suggerimenti” del milieu finanziario che di fatto ha il controllo delle aziende più grandi:  dunque il messaggio loro affidato diventa inutile e disturbante, praticamente posticcio come appare evidente, per esempio,  dalle pubblicità che vendono lo stesso prodotto di prima, ma che è improvvisamente e miracolosamente  diventato “sostenibile” , parola che peraltro non significa assolutamente nulla visto che non viene specificato rispetto a cosa sarebbe sostenibile e chi lo garantisce. Sappiamo per esempio che la “pesca sostenibile” viene certificata  da società soprattutto americane che mai si sono sognate di controllare qualcosa, ma vendono un marchio del tutto truffaldino e di fatto consistono solo in un ufficio e di un timbro.  Questa sorta di riscatto del consumatore che non vuole farsi mettere i piedi in testa con messaggi spuri  in qualche modo mi consola facendomi intravvedere la possibilità che quel consumatore infastidito dal tentativo di vendergli anche brandelli di ideologia ,  diventi pian piano anche un cittadino consapevole della menzogna complessiva e del fatto che le centrali politiche spesso fanno pressioni sugli amministratori delegati per guidare le aziende nell’arena politica attraverso un sistema di pressioni interne ed esterne.

Di fatto in tutto questo mette in gioco un conflitto culturale che vede corporativismo contro autenticità. E’ per questo che dopo le pubblicità diciamo così ” sbagliate” non si riesce a risalire la china, perché tutto appare come artificioso e parte di un modo di essere in lenta dissoluzione. Non c’è che da sperare nel risveglio .