Solitamente la fine dell’Impero romano si data al  476 d.C., anno in cui Odoacre depose l’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augusto autonominandosi Rex Italiae e non più imperatore: insomma fu una caduta per così dire istituzionale che formalmente avrebbe potuto anche avvenire molto più tardi anche se ormai l’impero era collezione di regni barbarici di fatto autonomi. La vera fine dell’impero d’Occidente però si può far risalire a quasi un secolo prima, ovvero alla battaglia di Adrianopoli del 378 in cui l’esercito romano fu travolto e sconfitto dai Goti che migravano in massa per sottrarsi alla pressione degli Unni e di altre popolazioni asiatiche o semi asiatiche ( Unni deriva dal  cinese Hsiung-Nu che vuol dire diavoli dai capelli rossi ed è contro di loro che fu costruita la Grande Muraglia, non contro i mongoli che arriveranno secoli più tardi ).  Fino ad allora nonostante un continuo indebolimento lo strumento militare che contava fino a 450 mila uomini era riuscito a controllare le invasioni e a respingerne parecchie soprattutto sul Reno, riuscendo anche ad ottenere qualche vittoria e addirittura a conquistare qualche nuovo angolo di terra nell’isole britanniche , ma dopo Adrianopoli divenne chiaro che ormai le legioni non erano più così organizzate, così addestrate e così allevate nei valori dell’impero da poter esprimere una reale superiorità rispetto alle armate di altri popoli che si riversavano sui confini. Non era certo la prima sconfitta delle legioni e fu per giunta determinata da gravi errori militari, ma per la prima volta essa diede la percezione di un cambiamento epocale e impose una nuova visione delle cose: se prima l’impero trattava da una posizione di forza (reale o immaginaria) le popolazioni che si addensavano sul limes adesso si trovava a dover subire senza poter realmente reagire con la forza necessaria e con l’appoggio corale delle popolazioni dell’impero: da un pregiudizio di superiorità si passò ad un acuto senso di debolezza e alla necessità assoluta di venire a patti.

Ora fare paragoni storici è sempre molto periglioso e forse trovare paralleli fra il tramonto dell’occidente e il declino dell’impero romano è diventato una sorta di sport a chi la spara più grossa, tuttavia possiamo trovare un parallelo tra quella battaglia, culmine di due anni di campagne militari volte  senza successo a contenere la pressione dei goti che si pensava di poter rintuzzare facilmente, a questa guerra ucraina, che naturalmente ha caratteri molto diversi, ma che per la prima volta sfida apertamente l’impero che si scopre troppo debole per un intervento diretto. E’ vero che probabilmente egli stesso ha spinto nella direzione dello scontro, ma si aspettava una campagna militare molto rapida a cui sarebbe subentrata una guerriglia tutto campo e un tentativo di massacro economico dell’avversario. La lentezza della campagna russa che tuttavia nulla toglie alla evidente determinazione ha in qualche modo cambiato le carte in tavola perché fa apparire chiaramente  il fatto che l’alleanza atlantica è determinata a combattere fino all’ultimo ucraino, ma è del tutto riluttante ad intervenire in prima persona semplicemente perché non è abbastanza potente per farlo. Questo i comandi militari lo sanno benissimo e perciò lanciano minacce e fanno appioppare sanzioni da milieu politici ridicoli che per fare dispetto alla R

ussia si tagliano da soli le palle.

Prima nessuno aveva portato una simile sfida all’Egemone e anche le sconfitte subite da quest’ultimo non avevano suscitato l’impressione che gli equilibri di potere fossero così mutati da poter permettere una sfida a tutto campo, siamo perciò di fronte a una battaglia rivelatrice del profondo cambiamento che si è accumulato negli anni dell’eterno presente che abbiamo vissuto nell’ombra del neo liberismo. L’impero ormai vive consumando se stesso, per esempio immolando l’Europa e distruggendola così da non doverne più temere  in contati con la Russia e con l’Asia e non comprende di stare soltanto consumando se stesso.