In questi giorni, soffocato dal simulacro della pandemia, è accaduto un quasi miracolo, qualcosa che forse potrebbe pensarsi come una svolta epocale: le elezioni in Bolivia hanno visto la sconfitta dei golpisti che appena un anno fa mandarono in esilio Evo Morales contestandone la vittoria alle urne, insomma mettendo in atto il tipico colpo di stato arancionista, di chiara marca statunitense e naturalmente apprezzato dall’Europa dei pupazzi e delle oligarchie che sembrano andare matte per queste infami farse “democratiche” e che ancora adesso si permettono, come è accaduto a due rivoltanti ceffi spagnoli sedicenti “giornalisti” i quali  ( vedi qui) non si sono risparmiati commenti razzisti contro la popolazione andina “ignorante” che non ha votato come doveva, cosa del resto che ha fatto anche la sbiancata Jeanine Áñez, che nel novembre del 2019 è stata insediata come presidente ad interim dal regime che ha sostituito Morales.  Ma d’altronde sappiamo bene come le elite, specie quelle più stupide e corrotte, giunte mella loro parabola discendente, considerino le popolazioni ignoranti, cosa che dimostrano di essere solo quando danno ascolto ai grassatori di verità che predicano il verbo del padrone. E questo lo si vede benissimo dalle risibile infamia con la quale l’informazione mainstream ha trattato il golpe.

Ad ogni modo fin da subito si pensò o almeno confesso di averlo pensato, che sarebbe stato molto difficile ribaltare il potere assunto dall’estrema destra, sia perché si era in una fase di “riconquista” statunitense dell’america latina che appariva inarrestabile e affollata di complicità, sia perché esso era legato a specifici interessi sul litio di cui la Bolivia è ricchissima tanto che Elon Musk, patron di Tesla, si intestò quasi l’organizzazione del Putsch dicendo: “Spodesteremo chiunque vogliamo! Accettalo”. In effetti alcuni documenti sembrano indicare che sia stato proprio Musk a sensibilizzare Casa Bianca e deep state  sulla necessità di dare avvio alla catena di eventi che hanno portato al colpo di stato, anche se avrebbe potuto farlo da solo visto che in questo assurdo mondo neoliberista  il suo patrimonio personale è più del doppio del pil boliviano: 100 miliardi contro 40.

Invece il colpo di stato si è esaurito in appena 363 giorni mostrando come si sia entrati in un nuovo territorio nel quale i metodi dell’imperialismo classico, perdono di efficacia nonostante le inesauribili risorse in denaro, in tecnologie, in influenza mediatica, in quinte colonne, a volte inconsapevoli e in ipocrisia da parte occidentale di cui possono avvalersi. Naturalmente è solo l’inizio di una nuova battaglia nella quale le forze legate al golpismo, vistesi sconfitte tenteranno di farcela attraverso la corruzione, ma è già straordinario che siano state sconfitte.  Probabilmente se ciò che prima riusciva facilmente è diventato molto più complesso lo si deve alla progressiva multipolarità del mondo grazie alla quale anche le vittime dell’imperialismo possono attingere a qualche tipo di risorsa per resistere alle immense pressioni cui sono sottoposte: esse possono consistere in un sostegno diplomatico e militare come è accaduto per la Bielorussia, o nel coagulare un diffuso appoggio internazionale come è accaduto recentemente per il Venezuela, o ancora in aiuti economici e militari come è successo in Siria  e infine magari anche nella organizzazione della resistenza internai. Si può perciò supporre che in questo le ragioni del golpe che in sostanza consistono nell’escludere gran parte del popolo boliviano dalla ricchezza derivante dalle risorse del Paese, ha fatto temere che gli Usa volessero diventare monopolisti del futuro elettrico. Quindi qualche reazione ci deve essere stata, certamente favorita dall’indecenza del progetto e dalla pochezza di chi lo guidava. Naturalmente di questo ho solo pochissimi indizi e qualche mail dal sudamerica, ma ho l’impressione che la resistenza all’arancionismi che si tingono regolarmente di nero sarà d’ora in poi molto più forte.