Anna Lombroso per il Simplicissimus

Dopo Vauro, dopo d’Eramo, anche Rossana Rossanda se ne va. La rottamazione dei padri è più veloce di quella del giornale: anche se in un editoriale la direttrice vuole accreditare un rapporto di causa effetto per i due processi, per convincere la sparuta redazione e i circoli sempre meno convinti della bontà dell’indirizzo politico, che le defezioni siano dettate da disamore, da disaffezione e da disincanto della vecchia guardia verso quel progetto nato nel 1968 di quel quotidiano comunista libertario del quale oggi avremmo tutti un gran bisogno.

Con una spericolata faccia di tolla scrive la Rangeri con lingua biforcuta; il tempo del confronto non è scaduto. Se abbiamo discusso poco sul domani del giornale, sul prodotto che facciamo, discutiamone ancora, impegniamoci ancora di più, nei prossimi giorni e settimane che restano. Lasciando intendere qualche miserabile retroscena di protagonismi, di malintesi familiari, di quelli che si possono risolvere con qualche contentino alla vecchia zia bisbetica.
Come ha scritto Marco d’Eramo in risposta alle due righe sprezzanti con le quali è stato frettolosamente liquidato, collocazione e tono della risposta della direzione sono la miglior motivazione della sua decisione di andarsene. Sono cose che succedono di questi tempi: decenni di critica televisiva, un orizzonte mediato dalle telecamere di Vespa, di La Rosa, ma pure di Santoro o Fazio, non possono non produrre qualche danno, anche in vocati alle direzioni. Come la ruota della fortuna per Renzi, favoriscono il primato della visibilità sulla reputazione, la soddisfazione dell’ego sull’affermazione di principi comuni.

Ci sono momenti quali mi auguro che pochi superstiti grandi vecchi, non tutti per carità, qualche intelligenza luminosa ancorché ottuagenaria, rottami la mia generazione, che è quella più intrisa di un malinteso pragmatismo, che l’ha inibita dal sogno e dall’utopia, e di un realismo peloso che ha intercettato la speranza, e l’azione, di poter disegnare un’alternativa all’implacabile ineluttabilità del mercato. Proprio come gli irriducibili tronisti, come gli immarcescibili in parlamento, anche quelli che, come diceva Rossanda, attraverso un giornale, avrebbero dovuto fare il socialismo e la critica al socialismo, si sono accomodati nelle loro nicchie, cucce poco pagate certo, ma gratificanti perché in fondo non è così rischiosa e nemmeno poi troppo faticosa l’esistenza in vita sul trespolo dell’obiezione, del biasimo e della censura, meglio ancora se si è intrapresa la via della prudente e ragionevole osservazione dei fenomeni.

A forza di stare dalla parte del torto, il torto ce l’hanno. È intanto quello di non volersi accorgere che scelte professionali conservatrici, sono il segnale d’allarme di un adeguamento a inclinazioni politiche altrettanto moderate. La ragazza del secolo scorso che se ne va, rivela simbolicamente e spavaldamente che la loro arcaica sopravvivenza cartacea, la convinzione che esistono davvero solo se sono in edicola – come denunciava qualche giorno fa un’involontariamente comica cronaca su una giornata senza Internet in redazione – fanno il paio con l’idea che si debba praticare l’entrismo nel sistema, che sia plausibile e anzi desiderabile qualche compromesso con il sistema per garantirsi il pane quotidiano e la colonna sonora delle rotative.

Rossanda decide per i blog, per la rete, per il web, a malincuore, perché le rughe e gli anni non attrezzano mai abbastanza alla sopportazione delle delusioni. Ma guardare avanti camminando a fianco degli altri è quello che dovrebbe fare chi si ispira alla guida e alla luce di certe stelle polari irrinunciabili, quelle della sinistra, comunista e libertaria. È una piccola forma di resistenza al potere economico che strangola le voci libere, al solito ricatto che si declina ormai in tutte le sfere sociali, facendo del bisogno l’arma per piegare, impoverire di diritti, ridurre al silenzio.
Forse la fortuna di Rossanda, come di Morin, come di qualche giunco pensante che non si piega anche qui da noi al vento del maelström è proprio di essere vecchi, di vivere quella metamorfosi sacra che rende invulnerabili, anche alla piccola paura che non resti impronta di sé sulla carta di un giornale, ché sono altre le tracce che dovremmo lasciare.