Le ultime dichiarazioni del Cavaliere sulla insopportabile pressione fiscale giungono nel momento in cui il suo governo la sta di fatto aumentando a danno dei ceti più deboli e sembrano essere una smentita della smentita di suoi ben noti interventi in favore dell’evasione. Scatole cinesi di bugie talmente evidenti da poter aggregare tout court i gonzi allo zoccolo duro dell’universo berlusconiano. Forse è per questo che la Lega scatena Calderoli con le sue dichiarazioni menteccate, mentre Bossi  biascica di quadre, salivando un Po’.

Ma ormai tutti i giorni siamo talmente dentro la schizofrenia di realtà e immaginario che qualsiasi nuovo capitolo  rischia di essere scontato e noioso. Del resto il governo nella sua lungimiranza sta provvedendo alla nostra salute mentale cercando di eliminare la tormentosa realtà con il bavaglio e con tutta la sua servitù in Rai.

Già da molti anni gran parte dell’informazione naviga in una sorta di universo dell’indefinito in cui vero e falso, verosimile e reale scorrono come un plasma dentro le vene dell’intelligenza. Qualche giorno fa, durante un dibattito mattutino in Tv, ho sentito con le mie orecchie una giornalista del Corriere sostenere che le tesi di Grasso, Veltroni, Ciampi sugli attentati del ’92 non hanno alcun valore perchè sono “inverosimili”. Magari un patto tra poteri criminali e poteri politici nascenti non c’è mai stato, possiamo sperarlo con la forza dell’illusione, ma niente è meno inverosimile di questa possibilità se appena appena si pensa a Dell’Utri, al voto in Sicilia, agli stallieri di Arcore e a tutta la genesi e la fenomenologia del Cavaliere. Nonchè ai suoi ghirigori di bugie intere, mezze bugie, mezze verità usate come punti all’uncinetto.

E’ inverosimile semmai non pensarci. E tuttavia quella frase così infelice, dimostra come al fondo della mentalità italiana ci sia insieme disprezzo, ma anche un’inconscia reverenza per il potere che agisce come una lente deformante. Potere in senso lato, ovviamente, che comprende anche il “si dice”, l’immagine, il luogo comune. E culmina con il “non l’ho mai sentito” come suprema demonstratio a contrariis.

Un rapporto che non è mai davvero laico. Anzi un rapporto di finzione in cui alla fine, esauriti gli alibi e soddisfatti gli interessi, si preferisce non sapere.

E’ qualcosa che evidentemente succhiamo con il latte materno e anche con quello in polvere, qualcosa che ci impedisce di comprendere fino in fondo i meccanismi della democrazia e della partecipazione. Ricordo esattamente il momento in cui me ne accorsi in un contesto nel quale la politica, propriamente detta,  non c’entra nulla. Da ragazzino mi avevano regalato “Civiltà sepolte” di Ceram e così ebbi il mio periodo egiziano che si riverberò anche oltre l’innamoramento iniziale con letture e una costante curiosità. Poi durante un corso estivo a Lovanio di tutt’altro tenore e argomento, mi capitò fra le mani un testo di storia per i licei belgi e sfogliando le pagine appresi qualcosa che mai mi era capitato di leggere in Italia in pubblicazioni non specialistiche: i Faraoni erano comunemente considerati figli di madri vergini concepiti grazie a un intervento soprannaturale. Non ci vuole molto a capire perchè questa circostanza (del resto assai comune nel mediterraneo e nel medio oriente) non avesse diritto di cittadinanza da noi: un potere esercitava le sue pressioni perchè cose potenzialmente imbarazzanti venissero elise. Il resto lo faceva il potere dell’inverosimiglianza che derivava alla fine da quella stessa elisione, perpetuandola.

Forse è per questo che  il faraone e i suoi scribi possono dire qualsiasi cazzata apparendo verosimili. Come l’oro degli alchimisti.