La storiografia anglosassone ama le grandi sintesi o meglio le grandi narrazioni complessive che spesso cercano di mettere insieme cose assolutamente diverse e che finiscono per forzare gli eventi dentro uno schema preordinato e spesso insensato. Tuttavia a volte colgono dei tratti caratteristici soprattutto nei passaggi d’epoca, analogie e somiglianze che talvolta si rivelano utili. Per esempio Paul Kennedy in Ascesa e declino delle grandi potenze, pubblicato proprio nell’anno della caduta del muro di Berlino, osserva che  la sovraestensione militare è una caratteristica del declino che si verifica nel momento in cui le ambizioni cominciano ad essere maggiori delle risorse disponibili. È quello che stiamo vedendo .

Gli Stati Uniti, hanno beneficiato di un’economia forte dalla metà del XIX secolo fino a tre decenni dopo la seconda guerra mondiale, poi è cominciato un declino al quale si è tentato di rispondere ingigantendo l’opzione militare e portando a un aumento della spesa in armi tale da produrre un calo di investimenti produttivi  che alla fine produce un risultato contrario a quello sperato, ovvero a una capacità di difesa più debole. Le cose sono ovviamente molto più complesse e bisogna aggiungere anche l’effetto pernicioso del neoliberismo globalista, ma Kennedy notò che già nel 1988, un anno prima della caduta del muro di Berlino e dell’illusione di essere i padroni del mondo senza rivali,  in brevissimo tempo gli Stati Uniti erano passati dall’essere un creditore netto all’essere il più grande debitore netto. La paura di diventare un semplice attore della scena planetaria e non il regista degli eventi, ha reso gli Usa estremamente aggressivi sul piano della politica estera.

Ma con la guerra all’Ucraina Washington ha potuto constatare che, come aveva preconizzato Kennedy nel 1989,  le proprie capacità militari si sono indebolite man mano che si è tentato di svilupparle oltre le possibilità reali, dunque oltre il sistema America. A testimoniarlo non sono soltanto i campi di battaglia dove le invincibili armi americane e occidentali in genere si sono rivelate mediocri, ma le stesse realtà economiche che possono essere riassunte dalla tabella qui sotto sul pil pro capite dei vari Paesi e sulla loro evoluzione fino al 2030.

Si tratta di dati di origine Fmi  e dunque non sono del tutto neutrali rispetto alla questione, anzi utilizzano tutti i trucchi possibili per gonfiare la crescita di certe aree, ma anche così non solo si vede che la Cina è ormai imprendibile, ma che gli Usa saranno a breve scavalcati anche dall’India, mentre l’Europa verrà totalmente cancellata dall’alta classifica a causa della crescita molto lenta provocata dalla mancanza di materiali energetici a basso costo, dall’emigrazione dell’industria e dei cervelli, tutti effetti lucidamente provocati dagli Usa che ormai sono costretti a mangiare i propri alleati per sopravvivere. L’Europa, ma non la Russia che grazie alla guerra e alle sanzioni è arrivata al quinto posto nel mondo, scavalcando una Germania ormai totalmente nel pallone e autolesionista che sarà superata da Turchia, Brasile e Messico entro un anno o due. Ciò rende più evidente la prossima implosione del continente a tutti i livelli. Ma facendo semplici calcoli fra sei anni l’economia dei Brics darà letteralmente la polvere a chi è prigioniero del Washington consensus che è ormai un consenso estorto col ricatto.

Insomma l’aggressività e la guerra stanno facendo perdere terreno all’egemone il quale ha una sola speranza di non implodere: quella di fare marcia indietro prima di implodere. Di affidare insomma il futuro non alle armi, ma alla testa. Se per caso è rimasta attaccata.