Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mica ci voleva tanto (in fondo ci sono arrivati anche da soli) per capire che per queste bande di irriducibili vigliacconi, posseduti da pulsioni viriliste, da distopie di ripopolamento al fine di consolidare un’identità patria in un paese non più sovrano, e forse anche da qualche perplessità sulle proprie scelte in materia di inclinazioni sessuali, il fronte delle donne sarebbe apparso al solito come in più vulnerabile e esposto, da infiltrare, dividere, ricattare per ridurle all’obbedienza, anche grazie alle nuove frontiere del part time volontario che le ha definitivamente retrocesse a figurine del brodo Knorr chiuse nelle loro cucine con desk, a godersi la compatibilità tra lavoro e cura.
La proposta del senatore Gasparri, che si è fatto preparare dagli esperti baciapile e pandette, i pizzini per dare dignità giuridica all’infamia, vorrebbe introdurre una rilevante modifica dell’articolo 1 del codice civile, quello che afferma come: «La capacità giuridica si acquisti dal momento della nascita” e che dunque i diritti che la legge riconosce a favore del concepito devono essere subordinati “all’evento della nascita” , per stabilire, invece, che: “Ogni essere umano abbia la capacità giuridica fin dal momento del concepimento” in modo che i diritti patrimoniali che la legge riconosce a favore del concepito, siano condizionati, anzi, subordinati alla venuta al mondo.

Un riconoscimento giurisprudenziale che se fosse accolto contravverrebbe di fatto di fatto all’impossibilità di una volontaria interruzione di gravidanza, all’oggettivo rischio penale per il medico e per la donna. aborto volontario e al rischio penale per il medico che lo eseguisse e la donna che vi ricorresse, delegittimando e criminalizzando non solo il diritto di autonoma capacità di scelta della donna, ma addirittura perseguendola per assassinio.
Il fatto è che quando si parla di aborto, ormai ogni qual volta di sfiorano i cosiddetti temi eticamente sensibili, è impossibile non ricordare la famosa massima di Rosa Luxemburg: dietro ogni dogma di nasconde un affare. A cominciare da quelli più immediati e miserabili: il Piemonte che fa sapere di aver stanziato 400 mila euro per sostenere le campagne delle associazioni antiabortiste, a quelli più paludati a forte impatto morale, che lo sono diventati da quando per una congiura economica, sociale e culturale, la morale confessionale si presta a diventare etica pubblica.
Troppo facile limitarsi a pensare che si tratti di valori, convinzioni, credo, dando loro autorevolezza e afflato ideali, pensando alla prodigiosa macchina che si cela dietro alle proposte che da decenni e da tutti i decisori in forma bipartisan arrivano per intervenire sulla materia dell’interruzione volontaria di gravidanza, che grazie a una battaglia civile ha perso lo status di reato e dunque di colpa, liberando le donne, rendendo indecenti i cimiterini allestiti per colpevolizzarle, facendole scendere dai tavoloni delle cucine di campagna delle mammesantissime oltre che mammane e da quelli prestigiosi e asettici dei cucchiai d’oro delle cliniche private.

Aggiungendo in questi ormai tra l’ingrediente non inatteso la più forte intenzionalità da parte del sistema al governo di esercitare un dominio assoluto e incontrastato dei corpi, favorito da quello sulla loro capacità e responsabilità di scelta, considerati antidoti pericolosi messi in atto da oscure forze antisistema per ostacolare la definitiva ristrutturazione sociale in forma di controllo, sorveglianza e manipolazione, attuati con la pratica di vaccini come droghe in uso alla popolazione per “liberarla dalla paura” e di medicalizzazione forzata in un futuro costruito con al centro un cittadino condannato a essere eterno paziente da tutelare.
Due donne puntigliose, Chiara Lalli e Sonia Montegiove, si sono prese la briga di pubblicare una loro indagine col titolo “Mai dati” per denunciare che il tema è un clandestino della ricerca e dell’informazione, in modo che il buio calato volutamente aiuti la propaganda che parla di una piaga aperta: in Italia la legge 194 funziona (a fatica) in certe parti d’Italia ma in altre è quasi come se non esistesse, che gran parte della burocrazia – politica, medica e amministrativa – non risponde neppure alle sue leggi, con uno sforzo propagandistiche che si materializza non solo con l’indulgenza offerta all’obiezione, ma con decine di documenti pubblici fuorvianti, criptici, carenti come quelli del Ministero della Salute, occupato a criminalizzare ben altre opinioni contrarie.

È paradossale che con tanti armadi del disonore ben chiusi a doppia mandata per non dover fare i conti col passato, quello che cela ipocrisie, interessi vergognosi, complicità oscene tra poteri interni e esterni dello Stato, condannando virtualmente milioni di cittadine/i allo status di potenziali assassini, si dovrebbe sempre forzare. Per aprire la discussione come se servisse un dibattito per dire che il reato è di chi contravviene una legge dello Stato: Gasparri, di fronte alle reazioni indignate dell’opposizione, ha cercato di rettificare il tiro, dicendo che, nel presentare per la terza volta il ddl, in ricordo di Carlo Casini (esponente del Movimento per la vita), cui l’aveva promesso, ha voluto tirare “un sasso nello stagno”. Anzi più di uno in modo da lapidare ree e complici.
Così una volta espropriate/espropriati di tutte le facoltà, assuefatti alle catene non sempre gentili che dovrebbero garantire sicurezza anche senza benessere né libertà, veniamo affidati in concessione infinita al mondo bonario, domestico e compassionevole del terzo settore, quello scelto per privatizzare in forme apparentemente più educate tutti gli spazi sociali, pubblici e comuni, come dimostra l’egemonia attribuitagli dagli investimenti del Pnrr, che gli consegna vecchi, disabili, invalidi, malati, bambini, come fossero scarti da delegare a chi ha trasformato la solidarietà in beneficenza e la fratellanza in pietà.