Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mentre ci si azzuffa sulle virtù vaccinali e sull’efficacia di una tessera a punti. E mentre le sentinelle sociali indicano su quali lotte bisogna investire le risorse della resilienza dal sofà dove hanno sonnecchiato  davanti alla  serie progressista con le true  stories  dell’antifascismo di superficie,   della green economy, del contrasto al razzismo con l’esclusione di quello ai danni di poveri e oppositori, va avanti indisturbata e senza clamore quella che i siti governativi chiamano l’implementazione del Pnrr. Oggi incoraggiata dal responso dell’agenzia di rating Standard&Poor’s che conferma il rating della tripla B per l’Italia alzando l’outlook da stabile a positivo, frutto, si sottolinea, dell’impegno del governo Draghi a portare avanti riforme per la crescita, rivoluzione digitale, riforma del diritto del lavoro e della scuola e dell’università  azioni fondamentali per indirizzare gli investimenti “sicuri” verso il fertile sfruttamento del  capitale umano.

Ma guai dire che, dietro alla questua ottenuta in cambio dell’offerta del collo nazionale ai capestri europei, ci sia un blocco di interessi  che, se solo avessimo conservato il buonsenso per impiegare le parole giuste, saremmo autorizzati a chiamare  complotto, ordito dagli ufficiali di complemento mandati o selezionati per la liquidazione del Paese in vista di quel Grande Reset, che prima veniva smentito in qualità di prodotto fantapolitico e ora invece viene proposto come nuova frontiera, luminoso orizzonte del futuro e formidabile occasione per fare dell’emergenza pandemica una radiosa e rigogliosa opportunità.

È già pronta la produzione letteraria del settore che propone i survey dei think tank, le analisi delle istituzioni internazionali innervate dall’ottimismo delle sanguisughe planetarie che sanno sempre come diventare più ricche ancora succhiando il sangue dei poveracci.

E’  che adesso hanno scoperto i limiti della globalizzazione, responsabile  della circolazione di pestilenze,  scoprendo le virtù del glocalismo, del chilometro zero, delle gite fuori porta al posto del giro del mondo low cost, dello spostamento del trasporto pubblico collettivo su quello quello individuale non motorizzato.

Insomma pare che dovremo ringraziare il Covid:  potrebbe aver messo le basi di una nuova Arcadia ispirata a buoni sentimenti, comportamenti virtuosi, consumi equi più che alla decrescita.

E dire che dovremmo aver imparato che c’è mai da fidarsi di certi buoni propositi e di certe buone intenzioni quando scaturiscono dalla lungimiranza dei sacerdoti dei trust, dei grandi monopoli, delle catene commerciali. Basta pensare come si sono appropriati delle iniziative di quelli che confidavano di diventare manager di se stessi, attraverso le app, le start up, facendo i locandieri dell’appartamentino ereditato o della stanza in più, inglobati nel sistema rapace di AirBnb.

Invece tutti concorrono a nascondere sotto il tappeto dei salotti buoni il marcio che c’è dietro le grandi scommesse frutto del ravvedimento operoso  dei sacerdoti della distopia globale: a svelarlo si passa per i soliti apocalittici  che vedono ovunque la subalternità al dominio, talmente ossessionati dall’egemonia di un impero trasversale e totalitario da sconfinare del nichilismo, invece di celebrare i  fasti del Progresso, della Scienza, della Tecnologia ai quali è doveroso consegnarsi fiduciosi con fanatismo clericale.

E’ che l’occupazione dei cervelli e dell’immaginario di chi fino a poco tempo fa possedeva degli strumenti di analisi critica da parte del pensiero e dei dogmi dell’ideologia dominante è quasi definitiva, per ragioni di interesse perché è intesa a tutelare rendite cognitive e morali in regime di esclusiva, e per  ragioni di comodo perché consente di non agire, di conservare lo stato contemplativo di chi ha rinunciato anche a ipotizzare un’alternativa.

Con il risultato di contribuire a affermare quella combinazione del sistema della delega e di quello del ricatto, che nella gestione della pandemia hanno apparentemente perduto il loro carattere tossico, per assumere quello dell’autorevolezza sulla quale fare affidamento, superando la sfiducia e il disincanto che avevano incrementato la distanza tra decisori e cittadini e appagando l’aspirazione di un popolo, infantilizzato dalla paura, a farsi guidare dall’uomo forte capace di ristabilire quelle condizioni di normalità che hanno promosso e prodotto un susseguirsi di emergenze.

Letteratura, filosofia, arte, hanno delegato la visione del futuro alla più mesta e distruttiva delle scienze inesatte, l’economia. Così dobbiamo ai centri studi delle istituzioni internazionali, delle fondazioni bancarie, degli enti di analisi strategica e politica previsioni e profezie, ulteriore effetto dell’esproprio compiuto delle nostre aspettative, delle nostre aspirazioni e dei nostri desideri ristretti all’auspicio di non essere contagiati.

I loro orizzonti hanno scadenze ambizione (quello del Sistema europeo di analisi strategica e politica si colloca nel 2030, quello delle organizzazioni dell’Onu arriva al 2050) e si compiacciono del dominio del telelavoro applicato a tutti i settori, dall’ufficio al commercio, dalla sanità allo studio, in modo che il lockdown diventi una condizione permanente che legittimi il distanziamento sociale.

Gioiscono per le ricadute sul lavoro manuale riorganizzato grazie all’automazione e alla robotica che consentono di cancellare funzioni intermedie e i loro addetti diventati superflui, mente resteranno utili minatori, cavatori, perfino qualche portuale.

E ci rassicurano perché la crisi sanitaria che ha messo in luce tanti problemi e tante aree critiche si risolverà grazie a sistemi di previsione e monitoraggio, prevenzione e gestione delle emergenze pandemiche ma soprattutto grazie alla telemedicina, obiettivo progressivo rispetto al medico che fa dire 33 al paziente su Wathsapp per poi prescrivere tachipirina e vigile attesa.

E poi il commercio sarà online, lo shopping si sposterà tutto sul virtuale con l’effetto di mettere in crisi gli shopping malls e di dare l’illusione – anche quella artificiale – del recupero del negozio di prossimità con i prodotti a km 0 ridotti a immaginetta sul profilo, a marchio del brand definitivamente inglobato e cannibalizzato.

Proprio vero, il vecchio è morto salvo qualche sussulto nostalgico, il presente è un abisso vertiginoso di paura e sospetto, il nuovo preferisce non nascere.