Allegoria della Giustizia di Bernini
Bernini: Allegoria della Giustizia

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Certo vedere i reprobi eccellenti in manette è una bella soddisfazione e anche accontentarsi di saperli agli arresti domiciliari. Purtroppo è un contentino  rispetto alla gratificazione di non vederli più, scomparsi in un cono d’ombra, negletti da talkshow e oscurati dagli opinionisti come meriterebbero, e ancora più a paragone del compiacimento per la loro eclissi definitiva post-elettorale.

Da anni ormai siamo abituati a pensare che se non siamo capaci di liberarci dell’abuso illegittimo della politica, del parlamento e della gestione della cosa pubblica da parte di un ceto che mostra un istinto ferino alla trasgressione, alla corruzione, all’impiego privato di ruolo, rendita e potere che ne consegue, possiamo contare sulla magistratura che prima o poi ci vendica. Si, auspicando  che ci riscatti e li castighi, e non faccia “giustizia”, perché negli anni forma e contenuto di questo “”valore” sono stati aggiornati, disperdendo o modernamente resettando la sua qualità morale e sociale, quella attinente al contrasto alle disuguaglianze, quelle suscitate della lotteria naturale e quelle determinate dallo scontro di classe.

Non a caso proprio da parte di un soggetto politico che ieri grazie a una liberatoria  non del tutto arbitraria è sfuggito alle sue maglie, viene continuamente richiamata la opportunità di valersi di un utilizzo privato della giustizia, sotto forma di pistola sul comodino. Niente di diverso da chi pensa che l’appartenenza a un ceto con tutto il corredo di principi e valori identitari: arrivismo, ambizione, indole alla sopraffazione e allo sfruttamento, familismo e clientelismo, autorizzi a una interpretazione personale delle regole, dileggiate in quanto ostacolo a libera iniziativa e imprenditorialità. Sicché l’ingresso a gamba tesa di un altro ceto, quello giudiziario, viene inteso come a una guerra intestina mossa per chissà quali opachi moventi o per segnare il territorio del quale vengono rivendicati l’occupazione e il possesso in comodato.

Eh si, ieri ne abbiamo avuto due rappresentazioni allegoriche.

La giunta per le immunità del Senato ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere del tribunale di Catania contro il ministro Matteo Salvini per il caso della nave Diciotti, con una decisione presa a maggioranza: 16 voti contro il processo e 6 a favore, un risultato  scontato dopo l’esito della consultazione online dei 5Stelle, una cerimonia officiata nel quadro dell’odierna imitazione della democrazia nella quale siamo costretti a vivere, da avventizi dell’oligarchia  incaricati di sperimentare l’occupazione della rete, in modo che cada anche uno degli ultimi baluardi di massa, sia pure con effetti francamente grotteschi.

È uno dei paradossi della nostra contemporaneità, la possibilità per il ceto politico di difendere i propri comportamenti illegali o illegittimi – anche se il caso in questione è opinabile perché le leggi non sono teoremi aritmetici da applicare con un approccio contabile –   grazie alla determinazione  e al lascito i padri costituenti e in particolare Lelio Basso, i socialisti e i Comunisti che vollero stabilire attraverso gli articoli 68 e 96 la tutela degli eletti dalle pressioni e dai condizionamenti di poteri forti, in modo che venisse tutelata “la libera esplicazione delle funzioni del Parlamento, contro indebite ingerenze” da parte della magistratura, certo, in un tempo nel quale la sua autonomia era ancora incerta.

E’ un’eredità quella che abbiamo difeso insieme a altri principi messi in pericolo da “riforme” volte a consegnare le istituzioni e noi all’ideologia neoliberista della deregulation, del dominio incontrastato e della supremazia del “privato”, del superpotere attribuito all’esecutivo. E si tratta infatti di quella cassetta degli attrezzi che utilizza per la sua propaganda difensiva l’altro co-protagonista sulla scena di ieri, quando (ne ha scritto il Simplicissimus qui: https://ilsimplicissimus2.com/2019/02/20/arcipelago-rignano/) ) riconferma  la sua “fiducia” inossidabile nella magistratura, purché tratti coi guanti gialli il suo asse dinastico, che in virtù del suo ruolo pubblico ha diritti inversi ai nostri in materia di privatezza, impunità, immunità, insindacabilità delle azioni e dei comportamenti.

C’è poco da dire, viviamo il paradosso della debolezza, ci è stata concessa la ”prerogativa”  di accettare i comandi, deprecandoli, di essere servi, lamentandoci, di ubbidire, ma brontolando. Perfino ci è stato sottratto il diritto libero di votare in virtù di leggi contraffatte, liste bloccate, differenti e disuguali condizioni di partenza dei candidati, impari mezzi profusi, permettendo la finzione di consultazioni virtuali su piattaforme di soggetti privati, che vale per le autorizzazioni a procedere o per i talent.

Vale anche per la giustizia, quando diritti duramente conquistati e che credevamo a torto  inalienabili, quelli “materialisti” (che ispiravano la ‘critica sociale’ e la lotta di classe) ormai  declassati  a gruzzolo micragnoso a disposizione di tutti e  garantito,  in favore di “valori post-materiali” più moderni e fashion. Sicché dando retta indirettamente a chi ha stabilito delle graduatorie, prima gli italiani, prima i maschi, prima gli eterosessuali, si instaurano delle contro-gerarchie  morali e etniche, che indicano i fronti di denuncia e militanza, prima gli immigrati, prima gli omosessuali, prima le donne, come se togliere qualcosa agli uni arricchisse gli altri.

Così l’amministrazione della giustizia segue le tendenze della moda e dello spettacolo, altro settore fortemente e irriducibilmente condizionato dal mercato. Ci elargisce qualche spot gratificante di potenti minacciati dalle catene, quando le nostre galere sono affollate di ladruncoli e piccoli spacciatori, mentre bancarottieri e corruttori entrano e escono dalle loro porte girevoli pronti a occupare altri posti in prestigiosi consigli di amministrazione. Quando a essere perseguiti con rigore sono i reati di strada, le condotte dei poveri, mentre gli illeciti commessi da chi può e sta in lato sono trattati con indulgenza e la comprensione che si riserva  a chi dà lavoro, a chi non deve essere ostacolato da lacci e laccioli, a chi è troppo impegnato per svolgere quelle moleste attività da straccioni: dichiarazione dei redditi, osservanza delle regole in materia di previdenza o edilizia.

Lo credo che chi sta su o non si rassegna a scendere ha fiducia della giustizia, mica è uguale per tutti.