E’ stato più o meno negli anni ’80 che il generone piccolo e medio borghese italiano, forgiatosi nelle fucine e nei maneggi del boom economico, scoprì l’inglese come brillocco di pseudo emancipazione culturale, buono per il villaggio turistico così come per il salotto e grazie a questo strumento finì di dimenticare tutto il resto. Fu allora che la cultura coiffeuse – televisiva cominciò a popolarsi di strani personaggi come Yang al posto di Jung, Kent al posto di Kant, Thomas Men al posto di Tomas Mann salvando solo ciò che aveva già una fonia affermata come Freud o Marx che altrimenti sarebbe un ciclista e tutta quella grande cultura che rimaneva ai margini della orecchiabilità da rivista patinata o proterva. Però ieri un presentatore che l’inglese lo deve masticare pochissimo, ma che arrota le labbra goloso al solo pensiero di maneggiare l’idioma padronale, ha deliziato il pubblico con i Baddebruk, storpiando orrendamente il nome di uno dei pilastri della letteratura del Novecento, ossia i Buddenbrook, dimostrando così di non avere nemmeno un’infarinatura di cultura generale. Questo nel momento in cui la Rai di Rome ha emesso un editto per imporre che Usa va letto esclusivamente Iuesei. Asini che sono davvero.
Ma non è questo il punto, il fatto è che imparare l’inglese ha significato dimenticare tutto il resto: ormai è impossibile vedere qualsiasi documentario senza che il tal museo , il tal laboratorio, la tal strada, la tal università, il tal nome non siano più citati nella lingua originale o tradotti in italiano, ma direttamente espressi in inglese. Così è accaduto che mentre si pensava di costruire l’Europa gli europei e specialmente le appendici meridionali, più inclini alla chiusura e al provincialismo, hanno cominciato a dimenticare se stessi. Quando ero giovane parecchie persone di modesta cultura sapevano grosso modo come si pronuncia una parola in francese o tedesco, conoscevano le espressioni più comuni, buongiorno, buonasera, wollen Sie spazieren mit mir? e si aveva anche attenzione e curiosità alle altre culture circostanti. Chi viaggiava si portava appresso vocabolarietti con cui arrangiarsi in qualche modo. Ora non più, si parla solo inglese e si bazzica solo la robaccia che viene da quelle sponde, si pretende uniformità soffocante che rende inutili gli spostamenti fisici e annulla quelli mentali. Insomma si poteva sperare che un’Europa unita fosse un po’ come la Svizzera dove chiunque sa un po’ di tedesco, di francese o di italiano e finisce per sintetizzare un po’ di valori e idee veicolate dalle diverse lingue, magari anche di leggere qualcosa. Invece è l’esatto contrario: nonostante lo sviluppo del turismo e degli erasmus, l’uomo medio ne sa molto meno di prima sui propri vicini, perché annulla le differenze e i caratteri attraverso una sorta di filtro standardizzato che cancella i riferimenti spazio temporali.
Ora tutto questo non è che il riflesso del fallimento cui è andato incontro il progetto europeo, ben presto finito nelle mani di oligarchie del denaro che dovendo escludere i popoli, troppo pericolosi per i propri obiettivi, hanno prima di tutto lavorato per isolarli e permettere loro di comunicare con un interfono che sembra a prima vista una facile soluzione, ma che in realtà aggiunge un diaframma che fa filtrare solo concetti standard e conformisti. Potremmo parlare a lungo di questo e del suo influsso su ogni campo della vita occidentale, ma in ogni caso tutto questo fa il paio con l’esclusione dei popoli dalle decisioni dell’elite dominante: tutte o quasi le volte che i cittadini sono stati chiamati a pronunciarsi sui vincoli europei li hanno bocciati. Hanno detto no all’euro i danesi, i norvegesi sull’entrata nella Ue, gli irlandesi sul trattato di Nizza, i francesi e gli olandesi sulla costituzione continentale, poi trasformata nel trattato di Lisbona perché potesse essere votato dai soli parlamenti e ciò nonostante gli irlandesi hanno successivamente detto no a questa ignobile carta del neoliberismo, i Greci hanno detto no alla Troika. Ma in un modo o nell’altro tutte le volte si è trovato modo di rifare le consultazioni popolari, di cambiare la forma burocratica dei trattati, di annullare le volontà popolari. In Italia dove l’Europa, prima di rivelarsi matrigna era la speranza di essere governati meglio, si è addirittura ricorsi a un referendum illegale e anticostituzionale. La distruzione delle culture e delle lingue non è che l’antecedente e la conseguenza di tutto questo: anzi peggio è il fondamento di una nuova estraneità di cui si sentiranno tutto il peso e le conseguenze le generazioni che verranno dopo il crollo dell’impero mercantile.
Carissimo Simplicissimus….pretendere l’accento di Lubecca alla RAI, è, verosimilmente, pretendere troppo.
Si, stavolta hanno esagerato con la superficialità. C’è pure un nobel, per il libro di Mann.
Ma che dire per esempio di PRIVACY?
La sua pronuncia corretta è “privasi” non certo la sgarbata statunitense “praivasi”.
Siamo zerbini, lo si vede da questa ignoranza, volgare, che innonda i media.
Vogliamo parlare degli accenti regionali, oramai sdoganato nei giornalisti e nei presentatori? A me piace anche che un giornalista abbia una vaga musicalità regionale, ma qui non c’è nulla di vago. E quindi mi infastidiscono con la pesantezza dialettale, perché per mia disgrazia so come si dovrebbe pronunciare la nostra bellissima lingua.
Accenti meridionali fastidiosi e altrettanti accenti settentrionali fastidiosi. L’accento romano fastidioso, e quello milanese. È cialtroneria, non biodiversità.
Ascoltate RADIOKOPER e ascolterete voci bellissime in purissimo accento italiano. E tanta competenza musicale e sportiva.
La Botteri con il suo accento triestino pesante, oltre alle stronzate che enuclea, è inascoltabile. Un esempio.
Magari fosse solo incapacità di leggere il tedesco e scambiarlo per anglo americano.
È incapacità e basta, superficialità e cialtroneria.
‘Brillocco?’ Interessante supplemento al patrimonio lessicale (o riduzione dell’ignoranza) di questo commentatore. E per aggiungere pedanteria alla pignoleria, rilevo che l’uso di un termine in un contesto differente dall’originale, andrebbe classificato come un’ “ipostasi” – dal greco hypostasys, “materia condensata.” Come figura retorica indica la concretizzazione e personificazione di un concetto astratto. Nella fattispecie, l’uso di un brillante contraffatto per mascherare un inglese alla “tu voi dar l’ammericano”, o peggio, simbolo di conseguita laurea in leccaculismo del padrone.
Nel primo caso direi che la risposta adeguata e’ il sorriso ironico, nel secondo caso, il disprezzo. Tipico esempio, del caso numero due, e’ la Mogherini, suprema rappresentante dell’ostentazione della piaggeria.
La quale, nonostante sforzo supremo e pacchiana pomposità, parla un inglese con l’accento di un pizzaiolo che l’ha imparato facendo la pizza. Peraltro onorevolissima professione (fare una buona pizza), al confronto dell’ignobile servilismo della Mogherini (e di simili altri).
Tra parentesi, Fraud era una frode e cosi’ pure il suo degno nipote Edward Bernays – chi e’ interessato puo’ leggersi “The Fraud of Freud.” http://thesaker.is/the-fraud-of-freud/
Non capisco come mai hanno tratto molti film in costume da autori inglesi e da Thomas Mann solo Morte a Venezia e basta.