large_yLHHBbtb9U0sJ04UNSdhazkTZVCLHRiNT_TL8VnoWaE-kvEH-U43330231093270AyE-593x443@Corriere-Web-SezioniCiò che agli inizi del secolo scorso affascinava gli orientalisti era da una parte lo stupefacente progresso tecnologico del Giappone che in meno di cinquant’anni dopo la sua forzosa apertura era riuscito a recuperare il gap che lo separava dal mondo industrializzato e la straordinaria longevità del celeste impero che, nonostante invasioni e infinite vicissitudini interne, durava grosso modo sullo stesso immenso territorio dal 221 avanti Cristo dimostrando così una stabilità senza paragoni. L’altro impero di dimensioni paragonabili più longevo, quello romano, sembra quasi una meteora al confronto: la costruzione della grande muraglia cominciò nel 215 ac, all’epoca della prima guerra punica quindi appena all’inizio della conquista del mediterraneo da parte della repubblica romana ed era indirizzata alla difesa contro gli Nsiung Nu una popolazione, anzi un complesso di popolazioni nomadi che dopo due secoli di alterne vicende e sostanzialmente sconfitte invertirono la rotta e si diressero verso occidente grosso modo nel periodo della guerra civile tra Mario e Silla. Quando gli Nsiung Nu, col nome Unni arrivarono alle porte dell’Europa, l’impero romano era di fatto già finito.  Anzi la sua fine fu accelerata proprio da questa spinta unna che costrinse le tribù germaniche, slave e sarmatiche ad assaltare il limes. E mancano ancora ottocento anni a Marco Polo.

A questo proposito è molto interessante anche per l’oggi considerare che nei Paesi di lingua romanza, Italia, Francia, Spagna, Romania quella degli Unni viene considerata un’invasione, mentre per quelli di tradizione germanica si parla di migrazione. Ma questo è tutt’altro capitolo: per ora ciò che mi preme  sottolineare è la straordinaria stabilità cinese che si pone anche come elemento di stabilizzazione e di progresso anche all’esterno e che comunque costituisce un elemento da mettere in primo piano in un mondo da tempo ai confini della guerra. Naturalmente due secoli di benevola cineseria laccata e molti decenni di propaganda prima contro la Cina della rivoluzione maoista poi contro il gigante industriale che impaurisce l’occidente cercano di dare un’impressione del tutto contraria.  Per esempio, tanto per affrontare un argomento che volente o nolente sarà quello contro cui si scontreranno frontalmente le contraddizioni del pensiero unico liberista,  si dice che la Cina sia il maggiore inquinatore del pianeta e in un certo senso è vero se si considera che l’impero di mezzo fabbrica per il mondo. Ma se andiamo a leggere i dati in maniera più sensata ci accorgiamo che non è affatto così, che la Cina produce 8 tonnellate per abitante di gas serra e inquinanti di vario genere contro i 10 della pulitissima Europa e i 20 degli Stati Uniti.

In realtà è proprio sul piano ambientale che la Cina dimostra la sua possibilità di essere un modello e la sua modernità in tutti i sensi essendo passata dalla repressione finanziaria delle industrie inquinanti adottata in Occidente secondo meccanismi puramente mercatista a vasti piani piani per il recupero della qualità dell’aria nelle aree urbane, per la tutela della biodiversità e per la riconversione energetica. Non solo è di gran lunga il maggior produttore di energia idroelettrica, ma è anche il Paese più avanzato in fatto di rinnovabili come dimostra la recente inaugurazione della prima megacentrale solare gallegginate a Huainan vicino a Shanghai, qualcosa che finora non ha paragoni. Per di più sta creando delle “città foresta” come quella di Liuzhou capace di ospitare 35 mila persone, 40 mila alberi di 23 specie diverse che praticamente costituiscono una sorta di coperta termica la quale permette oltretutto di assorbire  1.000 tonnellate di anidride carbonica all’anno e 57 tonnellate di sostanze inquinanti, mentre produce 900 tonnellate di ossigeno. La città ovviamente è completamente autonoma grazie all’energia solare e a quella geotermica. Si tratta di un progetto pilota a cui ne seguiranno immediatamente altri tre molto più grandi nella regione di Nanchino.

Questo per non parlare delle nuove tecniche agricole che tendono a preservare sia l’ambiente che la futura produzione. Ma anche in un settore discusso e discutibile come il nucleare, Pechino è tornata ai suoi vecchi progetti e punta adesso alle centrali a fusione di sali, ovvero centrali al torio che hanno alcuni vantaggi fondamentali: la possibilità di uno spegnimento immediato a seguito di un incidente o di un malfunzionamento, cosa oggi impossibile  e una produzione di scorie 1000 volte inferiore a quelle prodotte da una centrale a uranio. Questi impianti nonostante gli enormi vantaggi non vengono più considerati in occidente sia per mancanza di fondi delle major del nucleare, sia per la pressione delle lobby militar-industriali che vogliono materiale fissile per le bombe e uranio impoverito per i proiettili, tutte cose che le centrali al torio “purtroppo” non producono. Si potrebbe dire che gli Unni hanno continuato a spostarsi verso occidente, magari a bordo di qualche galeone pellegrino, ma non c’è dubbio che su uno dei temi fondamentali del prossimo futuro la Cina è tornata ad essere il centro propulsivo del mondo, anche se si fa di tutto per nasconderlo e anzi far apparire il contrario. O peggio si cerca di esorcizzare realizzazioni possibili solo con una programmazione dello stato e del tutto inconcepibili nel puro mercato. Forse qualcuno dovrebbe cominciare a togliersi gli occhiali deformanti dell’esotismo da una parte e del pensiero unico dall’altro e a riconoscere nuovi modelli possibili da trasformare e riadattare, ma che comunque sono in campo e che si richiamano a modelli inclusivi così diversi da quelli di bastone e carota adottati dall’occidente e in particolare dall’impoero anglosassone.