Anna Lombroso per il Simplicissimus

L’altro ieri il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa ad Agorà, uno dei media incaricati della comunicazione istituzionale anche grazie a generosi finanziamenti concessi per incrementare la propaganda pandemica,    ha detto di “credere” che “già dal mese di marzo si possa prevedere un allentamento del Green pass in maniera graduale partendo magari dai luoghi all’aperto. Mi pare che anche la scelta di togliere le mascherine all’aperto vada in questa direzione. E’ ragionevole pensare che poi lo stato d’emergenza non verrà rinnovato oltre il 31 marzo”. E a dimostrazione del ravvedimento delle autorità raccomandato dal cambio di rotta dei partner europei e dalla comunicazione del Conisglio Europeo ha portato come referenza la riapertura doverosa delle discoteche e l’incremento della capienza al 75%, concludendo trionfalmente: “Credo che il campionato finirà con gli stadi pieni“.

Non vale neppure la pena di soffermarsi sul verbo scelto da uno dei decisori più influenti e coinvolti nella gestione dell’emergenza, “credere”, a conferma che le decisioni che ormai scavalcano il Parlamento retrocesso a mansione notarile, non sono condivise e collegiali nemmeno all’interno dell’oligarchia governativa limitata alla cerchia ristretta del satrapo e di qualche fedelissimo in raccordo con la cricca degli scienziati di fiducia.

Gli fa eco il Sole 24 ore che si interroga su cosa accadrà dopo il 31 marzo, ultimo giorno dello stato di emergenza, se il governo deciderà di non prorogare una condizione in vigore da oltre due anni:  è lungo l’elenco delle misure in vigore che l’esecutivo dovrà decidere se confermare o far cadere con il ritorno alla normalità dall’eventuale coinvolgimento della Protezione civile al posto della struttura commissariale del generale Figliuolo allo scioglimento del Comitato tecnico scientifico (Cts) l’organo consultivo del governo istituito  dall’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli che ne definì organico e funzioni.

E annunciando la road map anticipata da Draghi con l’accesso facilitato a negozi, posta e banche,  il giornale di Confindustria si chiede quali sarà il destino “dello strumento che consente di viaggiare, prendere i mezzi di trasporto pubblico e di accedere ai luoghi di lavoro, a scuola, all’università, alle strutture sanitarie, ai locali che offrono servizio di ristorazione e agli alberghi”, il cui obbligo per i lavoratori ultra 50enni in forma di certificazione rafforzata (che si ottiene solo per vaccinazione con tre dosi o guarigione) è previsto fino al 15 giugno.

Anche qui ci sarebbe da esercitarsi sull’uso dei termini, in particolare sul ricorso al verbo “consentire”, tanto caro a un ex presidente del consiglio il cui progetto golpista è stata sorpassato senza opposizione da quello attuale,  a sostegno della convinzione indotta secondo la quale la missione del lasciapassare sarebbe di garanzia,  allo scopo di permettere il godimento di elementari diritti che altrimenti si sarebbe obbligati a sospendere a causa del comportamento irresponsabile e criminale di una minoranza eversiva.

Ormai nessuno rivendica di essere “positivo” malgrado sia diventato uso di moda tacciare quelli che si ostinano a denunciare l’obbrobrio che stiamo subendo di disfattismo nichilista, ma voglio essere ottimista.

E pensare che davvero, sia pure cautamente e in forma rallentata, si stia arrivando alla resa dei conti, si sentano i primi scricchiolii che segnalano che il totem si sta sgretolando. Che davvero, anche senza camionisti, abbiano fatto breccia le proteste, il sabato dei resistenti, le petizioni di lavoratori della scuola e della sanità, l’accumularsi di denunce presentate da cittadini tra i quali molti vaccinati della prima ora, che hanno deciso di impiegare i pochi strumenti legali e democratici ancora permessi, cui si sono aggiunte le azioni di organizzazioni, sindacati anche delle forze dell’ordine, associazione che esigono la revoca delle misure di sospensione dal servizio dei lavoratori esteso a tutte le categorie del pubblico e del privato.

Ma prima di compiacersi sarà opportuno guardare allo zoccolo duro che dall’esercizio della violenza intimidatrice, dall’occupazione di tutto il sistema informativo, dall’impiego metodico del ricatto, dall’ostentazione di una superiorità culturale e dunque morale basata su titoli e referenze usurpate, ora ha ripiegato su una specie di resistenza passiva, a difesa dello status e della popolarità raggiunta e dei benefici che ne derivano, economici e di visibilità. E capirete perchè ci sono momenti nei quali mi piace immaginarli in America Latina, esuli riuniti in consorterie nostalgiche dell’età dell’oro pandemica, quando i virologi erano invitati ai Festival e alla Scala.

A questi si aggiungono sacche di   intellettuali e pensatori che hanno aderito   all’ideologia covid per non subire la condizione avvilente dei marginali, visionari e allucinati, rincoglioniti e scettici di professione, per non diventare oggetto di impopolarità e ridicolo, isolamento e ostracismo e che ora tengono il punto con convinzione allo scopo di non vedersi accusare di tradimento di un edificio di idee e principi, che potrebbe essere demolito da incauti gesti di  acquiescenza.

Anche altri vedono la loro posizione a rischio qualora fossero costretti al ritorno a quella normalità che nel loro buen retiro, nelle loro redazioni, nelle loro case editrici, nelle loro università avevano criticato con la disincantata amarezza rinunciataria di chi si vede costretto a accettare che non vi sia alternativa praticabile allo statu quo e che hanno avuto un risveglio dal loro dormiveglia per denunciare il coagularsi di una opposizione al regime impura, infiltrata da arrischiati avventuristi con partita Iva, osti e piazzaioli evasori e da una destra di tradizione.

Beneficati, anche loro, dalla opportunità di avocare a sé il potere di distinguere le battaglie onorevoli da fare, dopo, e i compagni di strada accettabili cui offrire lezioni in modo che l’augurabile blocco sociale che dovrebbe rovesciare il tavolo riconosca la loro leadership intellettuale, ma restii a scendere in campo quando sussiste il rischio concreto di prendersi il raffreddore insieme a quello di essere retrocessi a velleitari e frustrati che non meritano al ribalta occupata da papi, influencer, cantanti di Sanremo.

Sono tutte categorie il cui prestigio è assicurato dall’appartenenza a ranghi oligarchici e dalla potenza della loro autoreferenzialità, che hanno dunque accesso ai media e anche alle tribune che conservano ancora qualche spazio antagonista che sfugge alla censura e all’autocensura.

Ma che contano su una massa più larga, quella di soggetti che vogliono restare inconsapevoli, anestetizzati dalla reiterata mitizzazione del rischio, lobotomizzati in modo da farsi persuadere solo dalla voce delle sirene del regime, che ripetono ossessivamente i mantra diramati dallo scientismo attraverso i tg tornati a essere fonte di conoscenza.

Si tratta di persone che sono state toccate in misura minore dalle restrizioni, che si inalberano per gli empi paragoni con altre apartheid per giustificare la resa onorata per celebrare la pizza del sabato sera, che frequentano poco i bus e anche il pronto soccorso avendo da tempo fatto ricorso alla funzione sostitutiva della sanità privata.

Qualcuno semplicemente si vergogna di aver ceduto al ricatto e ora che avrebbe l’occasione di entrare a far parte delle schiere lungimiranti di chi ha resistito in qualità di bidosati, non ha l’audacia di smentirsi e snocciola stancamente il rosario che enumera i prodigi vaccinali, protezione da effetti cruenti o la garanzia di non dover occupare le terapie intensive, vuote tanto da non giustificare investimenti per il loro incremento.

C’è anche qualcuno che magari inconsapevolmente teme che finisca questa sospensione della democrazia, della normalità, della responsabilità come certi piccoli malviventi che si sono assuefatti alla vita del carcere e quando escono non sanno più stare nel consorzio civile e commettono un piccolo reato per tornare tra le pareti rassicuranti dell’istituzione totale, o come i ciechi cui viene restituita la vista con un’operazione e vengono travolti da colori, luci, visi, spazi e vorrebbero che si restituisse loro il buio, in questo caso quello dell’inconsapevolezza, della delega, della cessione di libero arbitrio.

E’ anche per loro che non si può abbassare la guardia perchè per il contagio del disincanto, della rinuncia, della speranza che altri da noi vengano da Marte a soccorrerci non c’è cura né vaccino.