Credo che una delle prima, anzi decisamente la prima barzelletta che ho ascoltato, quando ancora non andavo a scuola mi è stata raccontata dai miei che già mi narravano della guerra del resto finita da appena un decennio e di come , durante la visita di Hitler a Roma, questi di fronte alla maestà dei fori imperiali con sullo sfondo il Colosseo  si rivolgesse a Mussolini dicendo : ” Duce, facciamo due pazzi insieme”. Tutto il fascismo fu attraversato da storielle, battute, persino epigrafi come quella rimasta famosa che nacque  a Bologna su Starace: “Qui giace Starace/ vestito d’ orbace/ dal volto rapace/ dall’ occhio mendace/  di nulla capace/ Requiescat in pace”. Ce ne sono  parecchie versioni simili che poi si diffusero dovunque, ma ciò non toglie che i due pazzi insieme siano stati fatti fino in fondo e in tutti sensi. Anzi Mussolini non cercava nemmeno di arginare le mille storielle su di lui , sui gerarchi, sul regime in genere perché sapeva perfettamente che costituivano una valvola di sfogo della pressione sociale che si accumulava, tanto che paradossalmente l’Italia non ebbe mai tante riviste satiriche come sotto il fascismo, ovviamente attente a non superare certi limiti e tuttavia capaci di coagulare e disperdere  un dissenso pre politico.. Aveva perfettamente ragione: la satira è un’arma spuntata, anzi non è nemmeno un arma, ma di volta in volta una resa, un alibi, un’evasione, un’ipocrisia, quasi riassumesse l’origine della parola che deriva da satura lanx , ovvero le primizie miste offerte agli dei e dunque in un certo senso al potere Ed è anche una sostanza stupefacente  che in qualche modo ha un effetto catarchico, liberatorio dall’impegno reale, è insomma una terapia che attenua i sintomi e paralizza l’azione.

Posso capire che le persone con più di quarant’anni abbiano difficoltà a comprenderlo perché sono vissute all’ombra di “una risata vi seppellirà”, motto nato nell’ambiente anarchico francese di fine Ottocento, adottato si badi bene, non dal Sessantotto e dintorni, ma dal movimento del ’77 nel quale la soggettività individuale era già più o meno confusamente al centro della rivolta, esponendosi così, senza nemmeno accorgersene, ad essere futura vittima delle mode culturali dettate dall’egemonia e delle peggiori pratiche neoliberista, a passare insomma dall’idea di rivoluzione a quella della semplice disobbedienza.  Non è un caso che il Male sia nato proprio in quell’anno, come clamorosa disobbedienza al bon ton politico ed informativo, ma una risata non seppellì il regime democristiano, né il craxismo, men che meno il berlusconismo sebbene il Cavaliere fosse una miniera inesauribile di satira. Ma mentre si satireggiava nei noti salotti televisivi nessuno si è mai sognato di mettere in questione seriamente il conflitto di interessi o l’aggressione ai diritti del lavoro. E nessuna satira  è riuscita a scrollarci di dosso i governi tecno europeisti di Monti e compagnia cantante, né il renzismo, né ci servirà contro Draghi e la sua agenda masson – sorosiana. Nessuna risata li seppellirà mai, solo l’ira, il pensiero e l’azione ad essa collegata possono farlo come del resto avvertiva uno dei satirici più discussi e meno compromessi  del nostro tempo, ovvero Daniele Luttazzi: “Guai al pubblico che si mette a guardare ai satirici come a cavalieri senza macchia e senza paura, e guai ai satirici che finiscono per crederci.” E lo sappiamo bene visto che uno di loro è stato scelto per raccogliere il dissenso e portarlo poi in dono al potere. D’altra parte non bisogna confondere la satira con l’ironia che svela contraddizioni e destabilizza il luogo comune, che  ha per così dire una funzione cognitiva: essa invece prende di mira ciò che si sa benissimo e volge in risata o in sorriso o in vaffanculo ciò che dovrebbe essere indignazione e capacità di trasformazione. .

La natura della satira non ha in realtà alcuna relazione con la sua possibilità di esercizio: essa è come quei pesci la cui presenza è testimone della qualità dell’acqua, ci dice a quale livello di libertà e di democrazia ci si trova, denuncia la censura ma di per sé non riesce a cambiare proprio nulla e anzi rappresenta un elemento consolatorio della rassegnazione a uno stato di cose che non si ha la capacità di cambiare, né l’immaginazione, né l’elaborazione per farlo.  Così almeno si fanno quattro risatine, come quelle che incessantemente  attraversano i social e che sono come fiumi endoreici che non raggiungono mai il mare, ma evaporano durante il percorso senza lasciare più traccia come i gattini. Anzi adesso che nel web dominano gli algoritmi i quali  decidono con operazioni automatiche cosa si può e cosa invece non si può dire la differenza tra satira e semplice descrizione è diventata sottilissima, come appare  drammaticamente evidente con il blocco da parte di You tube del canale dello scacchista più seguito al mondo visto che il suo linguaggio tipo “Il bianco attacca il nero” sembrava razzista, cosa che fa il paio con la chiusura di un gruppo Facebook dedicato a Lino Banfi per incitamento all’omofobia. Del resto questa è la stupidità artificiale che viene da zone dove quella naturale è particolarmente diffusa, non riesce a cogliere né la differenza di contesto né quella di tono e rappresenta esattamente un mondo dove tra realtà e finzione narrativa non esiste più differenza, dove tutte le vacche sono nere come nella celebre notte hegeliana, dove la distrazione e la drammatizzazione di massa finiscono col coincidere come vediamo con chiarezza nella vicenda pandemica. La satira diventa inutile come la realtà.

Ma naturalmente anche su questo terribile esempio di ciò che si sta producendo, si farà molta satira e molto umorismo: non si vuole più capire davvero il mondo né cambiarlo e nemmeno sopportare il lutto per le speranze perdute, ma si sorride per atarassia.