mpAnna Lombroso per il Simplicissimus

Pare proprio che in mancanza di speranze, siamo condannati a vivere di rimpianti: si guarda alla  Prima Repubblica come all’età di Pericle, popolata di figure di statisti che si paragonano all’attuale mediocrità e sciatteria. E allo stesso tempo si recrimina sul nuovo lassismo che è seguito a Mani Pulite, rammaricandosi per la fine di quell’epoca di severità, di potenti requisitorie e anatemi contro un ceto insolente e sfrontato, di indagati autorevoli lasciati in gattabuia, in attesa della dimostrazione di qualche teorema, che non sempre veniva documentato e accertato per via di una correità diffusa come un veleno in tutti i ceti.

E d’altra parte insigni opinionisti ci mettono a parte della loro personale nostalgia per i tempi del Cavaliere che almeno aveva, a loro dire, la virtù di regalarci qualche sogno di benessere. Agli svariati “quando c’era lui caro lei” coi treni in orario dell’uno, la dignità nazionale difesa a Sigonella dell’altro,  coi lati B del terzo in ordine di tempo, autorizzati in Tv, con la narrazione di performance erotiche indomabili e della munifica generosità con la quale contribuiva a fare grande in Paese offrendo di tasca sua  i rinfreschi ai G8, peraltro infelicitati dalla consegna di avvisi di garanzia intempestivi, succederà, è questione di ore, il recupero del loro immeritevole erede, cui si sta già permettendo di riaffacciarsi forse per la qualità riconosciuta di aver voluto  rappresentare che il riformismo italiano ( e non) non ha nulla a che fare con quella piccola utopia chiamata sinistra, avendo entusiasticamente aderito al liberismo.

In questo susseguirsi di duci e ducetti, bonaparte e napoleoncini, c’è un tratto comune. E consiste nell’avvilimento e umiliazione della rappresentanza,   l’aspirazione a convertire le istituzioni e i corpi dello stato in organismi assoggettati e controllati al loro servizio, la manomissione di carte costituzionali per piegarle all’esaltazione degli esecutivi, la critica a quelle che vengono intese come ingerenze e tentativi di intimidazione e condizionamenti da parte della magistratura. Ma soprattutto e in forma sempre più muscolare, la determinazione, in luogo della trasgressione delle leggi, a fletterle  a interessi di parte, a produrle e confezionarle in nome di utili personali,  di lobby e potentati.

Molti di quelli che ieri piangevano la scomparsa di Borrelli,  hanno rimosso che un certo tipo di garantismo, il richiamo a un rispetto della legalità che vorrebbero intransigenza nell’applicare le norme e le regole come fossero algoritmi,  salvo esigerne la trasgressione in caso di norme ingiuste che sono state largamente accettate non prevedendo il ricorso a forme di rigetto e impugnazioni democratiche, hanno steso l’illusorio velo di Maya sulla pratica ormai invalsa di realizzare una forma più sofisticata di corruzione. Quella  che non consiste più – o non solo – nella circolazione di quattrini, appoggi, voti, consenso, rolex e vacanze in barca, ma nella possibilità di farsi le proprie leggi su misura, ad personam, a azienda, a cordata, a gruppi di pressione e influenza.

Certo le mazzette hanno continuato a circolare, ma il vero brand consisteva e consiste nella legalizzazione e legittimazione di interessi – criminali nel senso preciso di reati contro l’interesse generale – attuate grazie a disposizioni confezionate nei grandi studi al servizio di multinazionali, imprese, vertici aziendali.  Ma soprattutto in virtù di “riforme” intese a soddisfare appetiti di signori del cemento, di corsari di grandi navi, di immobiliaristi,  imballate e intoccabili per esonerare dalle responsabilità  produttori di metalli e cancro, per favorire la libera circolazione di eserciti di forza lavoro a prezzi stracciati, per abbattere l’edificio di garanzie e conquiste del lavoro,  imponendo la rinuncia a diritti   in nome della necessità, per costringerci a subire opere inutili e dannose mentre la cura e la tutela del territorio sono retrocesse a optional da realizzare solo in caso di provvidenziali emergenze che consentono di ricorrere a mezzi e poteri straordinari.

C’era poco da sperare in una nuova stagione di indagini e processi se il vero business malavitoso e malaffaristico si fa a norma di legge, come nel caso dell’Expo, quando l’autorità anticorruzione di nuovo conio venne chiamata a sigillare il già compiuto a giochi  completatati e appalti distribuiti, come nel caso del Mose, quando si istituì un mostro giuridico che riassume tutte le competenze, il fare e il disfare, il controllare e l’essere controllato, lo scavare e il riempire, lo sporcare e il pulire in regime di monopolio esclusivo.

C’è poco da sperare quando si  denunciano giustamente leggi ingiuste  che favoriscono la segregazione, il rifiuto, la differenza come una colpa e puniscono chi cerca riparo condannandolo alla condizione di irregolare e clandestino pericoloso, mentre non si considerano inique e ingiuste le misure, a volte adottate scavalcando il parlamento, o ricattandolo a suon di voto di fiducia, e che ci costringono a partecipare a missioni coloniali e belliche, a andare e rubare e depredare, a obbligare all’esilio e alla fuga popoli che hanno la colpa di essere più poveri e vulnerabili del nostro.. di quello di oggi che sul suo destino di domani c’è ancora meno da sperare.