Anna Lombroso per il Simplicissimus

Pare che sia stato Stalin a dire, in risposta a chi gli chiedeva quale fosse la “deviazione” più pericolosa dal    comunismo, quella di Bucharin o quella di Trockij: sono entrambi peggiori. Formula perfetta da impiegare anche in  occasione del duello Trump-Clinton prima e Trump- Biden poi, quando mi sembrò appropriato dire che gli Usa potevano scegliere liberamente se morire di ictus o di cancro.

Nemmeno ora quando il feroce e sanguinario “colonialismo in casa” di Israele trova l’appoggio incondizionato dei governi europei assoggettati alla Nato e ricattati da Erdogan, nemmeno ora mi pare che  gli antifascisti del web abbiano capito che spesso si verifica lo strano incidente che due contendenti rappresentino il lato oscuro della storia.

Perché  se è vero che Trump era un gran burino coi capelli tinti, un revanscista dei diritti dei ricchi, un rottamatore sistematico delle modalità e di una comunicazione politica rispettosa dei diritti delle minoranze, un ignorante che derideva le istanze dell’ecologia, adesso che ha scatenato la belva guerrafondaia che alberga da sempre in lui,  si può verificare l’indole non sorprendente dell’altro peggiore, la megalomania dispotica del mitomane che vuole restituire all’America con ogni mezzo, soprattutto militare, una supremazia rapace, e i tratti del caso umano affetto da una forma di demenza che si manifesta come una recrudescenza maccartista con la denuncia delle ingerenze persecutorie della Russia e del pericolo giallo incombente.

Ancora una volta ci sarebbe invece da analizzare la condanna cui ci sottopone il sistema della comunicazione globale e dello spettacolo trasferito in ogni contesto sociale, imponendoci false scelte e distraendoci da un’unica verità e cioè che se in una situazione conflittuale una parte rappresenta il male, l’altra non necessariamente rappresenta il bene.

E se trasferiamo lo stesso principio in casa non possiamo non ammettere che l’affermazione della “destra” populista – tanto per usare lo stereotipo dominante – sia stata determinata dalla defezione da ogni valore di lotta allo sfruttamento, di tutela dei diritti fondamentali, di smantellamento della garanzie e delle conquiste del lavoro a carico del riformismo che ha permesso la progressiva rinuncia a sovranità statale e democrazia.

E non possiamo non riconoscere che la scelta obbligata tra i due peggiori, in modo che si affermasse un sedicente male minore, con la  totale abdicazione a un potere sovranazionale che ci ha commissariati riconfermando la sudditanza all’impero amerikano che affida i confini a difesa dei suoi beni extraterritoriali a una incerta alleanza di nomenclature nazionali, ha avuto vita facile come accertato  con la consegna del Paese a uno stato di eccezione, autorizzato da una emergenza sanitaria maturata in una crisi strutturale mantenuta ad arte, in modo da legittimare ricatti e intimidazioni frutto di ingerenze esterne, da autorizzare la cancellazione dello stato sociale e da costringere al sacrificio privato e collettivo, in nome di una punitiva austerità.

Il risultato è che in totale assenza di una opposizione parlamentare e soprattutto di popolo – quando tra le limitazioni imposte dovrebbe fare spicco la sospensione delle elezioni sostituite dalla nomina di una autorità esterna che non ha dovuto nemmeno passare per la nomina a senatore riconosciuta anche a un cavallo-  ci si accontenta di false libertà, tanta è l’abitudine a credere pervicacemente alla menzogna, alla simulazione e all’imitazione.

Passati i tempi nei quali ci manganellavano davanti all’ambasciata Usa, o se osavamo pittare Nixon Boia sul muro di fianco a Via Veneto, le rimostranze contro il tallone sionista e il guardiano del mondo che lo autorizza si riducono a qualche stato colorato sui social, alle immagini con la telegenica kefiah, alle vignette e al plauso per la posizione, già annosa, del Papa che “riconoscerebbe” con tutta la cautela del caso lo status nazionale della Palestina,  a conferma della discrezionalità applicata dai potenti ai diritti dei popoli, palestinesi e luoghi santi si, argentini un po’ meno,  e alle sovranità, se è permesso non rispettare la giustizia e i tribunali di uno stato ospite e nemmeno pagarne le tasse.

È così che ci si è conquistati la licenza di lanciare l’anatema contro la repressione militare a Gaza, e al tempo stesso si può soprassedere sul fatto che impegniamo milioni di euro e truppe per  il “controllo”- e se non è occupazione questa-  di larghe zone del continente africano in modo da assicurare che si svolga ordinatamente la penetrazione commerciale e sociale di imprese predone e corruttrici. E’ così che  si rivendica  il diritto di condannare le ingerenze altrove,  quando da anni rimuoviamo il fatto che le stesse divise che popolano lo star system hollywoodiano attrezzino sul nostro territorio trampolini di lancio , allestiscano poligoni di tiro e piazze d’armi sperimentali come su un set di colossal con contractor e truppe in lotta contro la Jihad, lasciando soli i movimenti di protesta che difendono il territorio dalla militarizzazione straniera, troppo eversivi rispetto ai canoni dettati dalle sardine.

Le occasioni per offrirci delle imitazioni della libertà contraffatte e taroccate sono innumerevoli, incrementate dalla rete controllata dagli stessi soggetti che usano i dati che regaliamo loro per allargare il loro dominio commerciale, per accreditare e diffondere tesi e paradigmi, lasciando l’illusione che siamo ancora in grado di discernere, capire, scegliere. Mentre la minaccia più potente alla libertà è consistita almeno finora, non nell’esercizio di un potere apertamente autoritario, ma nell’equivoco secondo il quale la sua assenza conviene per consentire permissività, violazioni discrezionali concesse e elargite in forma arbitraria e vissute come necessità autodifensiva.

Ci privano dell’assistenza sanitaria pubblica, dandoci l’illusoria opportunità di sceglierci, sulla base del rapporto costi benefici, che vale solo per chi può permettersi questo criterio di base, il gestore più conveniente della nostra salute. Ci costringono a occupazioni precarie e a ogni sospensione contrattuale c’è qualcuno pronto a condannare la nostra indolente scontentezza ricordandoci che si tratta della felice circostanza che ci permette di misurare la nostra capacità di adattamento e la nostra indole a reinventarci a 50 anni. Ci impongono di indebitarci per le scuole private dei nostri figli, in modo da diventare imprenditori del loro futuro  investendo in parcheggi culturali e formativi senza speranza di “collocamento” del capitale umano.

Perfino adesso che vige un stato di eccezione assolutista, quando il libero arbitrio è condannato alla stregua di sociopatia, quando il dubbio subisce l’ostracismo delle eresie, quando chi non si adatta e non si fa inghiottire dalla spirale del conformismo obbligatorio diventa “nuda vita” senza passaporto, pesa su di noi il fardello menzognero e ansiogeno della “libertà di scelta”, concretamente negata sia per effetto di misure autoritarie, di forme repressive di sorveglianza e controllo sociale,  che di una proterva persuasione “morale”, ma virtualmente in corso come una moneta falsa che non può comprare niente.

Forse bisogna ammettere che questa contraffazione che ci propinano con la griffe della libertà serve solo a persuadere il consumatore che può scegliere il prodotto “meno” peggiore e il male minore secondo i canoni del mercato che fanno dimenticare che si tratta di un male, comunque.