La cricca europea dei liberisti, quello straordinario collage di mezze figure tra cui giganteggia il genio di Tajani, che va sotto il nome di Commissione europea, ha colto l’occasione della crisi economica per imporre a tappeto e col ricatto le ricette che l’hanno provocata: un’astronave aliena che la sorvolasse non troverebbe traccia di vita intelligente, ma una lussureggiante esplosione di parassitismo. Portatori di un concetto di democrazia da mensa aziendale, hanno sempre trovato in Monti un sodale e un killer di penna, mai stufo di dire di no. E così il 21 marzo la Commissione europea ha varato un testo pieno di utili “consigli” sulla regolamentazione dello sciopero basato su un documento chiesto da Barroso a un Mario Monti non ancora premier, un documento che è un capolavoro di ipocrisia e di fanatismo aziendalistico.

Secondo l’illuminato parere di questi commissari per caso, il diritto di sciopero deve essere armonizzato con quelli economici. Frase apparente anodina, ma scivolosa e ingannevole con la quale si sostiene in poche parole un assurdo: che lo sciopero non deve essere in contrasto con l’impresa contro la quale lo si attua. La cosa naturalmente ha un fondamento, quello stesso che vediamo all’opera nei vari capitoli dolorosi delle manovre in atto da parte del governo: i diritti di chi lavora vengono dopo quelli dell’impresa e così la libertà sindacale verrebbe subordinata ai diritti della libertà d’impresa, l’unica ormai che sia riconosciuta senza se e senza ma.

Possiamo sperare che questo delirante documento sia rigettato in toto, ma se non dovesse essere così, suggeriamo ai sindacati una via d’uscita. Creino essi stessi società imprenditoriali, aziende, sas o spa il cui scopo economico è ottenere un piccola percentuale dei miglioramenti economici che riescono a strappare e dichiarino lo sciopero uno degli essenziali strumenti di profitto della loro attività. I lavoratori interessati potrebbero entrare nella società come temporanei soci d’opera e nessuno si potrebbe stupire che come imprenditori facciano i loro interessi. A questo punto i diritti sarebbero sullo stesso piano e di certo quella testa di minchia che ha elaborato l’ennesimo marchingegno liberista, non potrebbe più accampare il pater noster del suo pensiero, ovvero la prevalenza del diritto del profitto su quelli del lavoro.

Del resto sarebbe opportuno che gli italiani si riunissero in una società a nome collettivo operante nel campo della trasformazione in oggetti utili delle teste di legno di cui il Paese presenta importanti giacimenti. Allora si che si uscirebbe dalla crisi.