Davvero singolare che la chiesa abbia aperto nel tempio un tavolino per il gioco delle tre carte. Su una c’è l’immagine del Pentimento, sulla seconda quella dell’Impunità, sulla terza l’immagine del Vaticano. In questi giorni abbiamo assistito a una manche di gioco particolarmente appassionante e intensa.

Il papa non ha finito di battersi il petto per gli errori, ad invocare fiamme dell’inferno per i preti pedofili e ad ammettere la possibilità di intervento della giustizia civile che ha dovuto emettere un comunicato di sdegno per la perquisizione  nella sede dove si riunisce l’episcopato Belga.

Insomma la giustizia civile può intervenire, purché non intervenga troppo: si pretende che gli alti prelati e i luoghi dove vivono godano di una extraterritorialità informale, ma sostanziale. Il Vaticano e i suoi “principi” sono in fondo uno stato estero.

Non si era ancora spenta l’eco di questo concetto serpeggiante in varia forma sotto le indignate dichiarazioni, che la suprema corte degli Usa, si è convinta che forse davvero il Vaticano può essere considerato uno stato estero e l’apparato clericale come dipendente da esso. Quindi ha lasciato libero un giudice di risolvere nel concreto la questione se chiamare in causa o meno il Vaticano nell’ ennesimo caso di pedofilia.

In due parole il giochino di farsi, secondo la convenienza, stato estero o autorità religiosa che può entrare dunque nelle questioni interne delle varie nazioni, si sta ritorcendo contro chi lo ha usato in maniera spregiudicata se non cinica.

E’ altrettanto evidente che la cupola vaticana, ormai formata quasi interamente da accaniti conservatori e reazionari, non è in grado di rispondere con un processo di rinnovamento, ma solo con omelie rinnegate poi nei fatti e nei comportamenti che ripropongono antichi riflessi pavloviani.  Ci vorrebbe un miracolo. Ma come si sa è proprio in Vaticano che non ci credono.