Anna Pulizzi per il Simplicissimus

Così ora anche il Regno Unito ha il suo Obama, cioè uno che incarna la stessa politica di prima ma con un colorito diverso dall’usuale. Il nuovo primo ministro Rishi Sunak, conservatore come i suoi predecessori, con radici un po’ in India e un po’ nell’Africa orientale, di fede induista e ricchissimo soprattutto per parte di moglie, nonché armato di rassicurante curriculum presso Goldman Sachs ed altri centri della speculazione finanziaria, ha ereditato il posto dell’imbarazzante Liz Truss, che sognando di diventare una nuova Thatcher ma nell’epoca sbagliata, era subito inciampata nella propria incompetenza, frutto di una “ignoranza catastrofica” (secondo il calzante giudizio della portavoce russa Zacharova).

La prima iniziativa di Sunak è stata la chiusura di un centro culturale cinese, l’istituto Confucio, sulla falsariga di analoghe operazioni in corso nel resto d’Europa nei confronti dei pericolosi putiniani Dostoevsky e Tchaikovsky. Il resto si vedrà, anche se è prevedibile che la politica estera inglese non cesserà di far scivolare il continente ed il resto del mondo sull’orlo di una guerra epocale. D’altra parte il compito dei governi europei, in modo assai eclatante in questo scorcio di secolo, non è stabilire una linea politica bensì obbedire a quella già fissata, mentre l’accesso ai centri decisionali è negato a chi rivela la minima esitazione nell’adesione al credo imperiale.

Forse non è un caso che la nomina di Sunak sia stata subito seguita dall’attacco di droni navali britannici contro la base russa di Sebastopoli. Non è detto che sia stato lui ad autorizzare l’operazione ed anzi è probabile che con essa si sia inteso dimostrare che il premier può cambiare ma la condotta bellicosa di Londra rimane la stessa. Anche perché c’è da dubitare che il comando ucraino abbia facoltà di utilizzare questi mezzi senza il benestare di chi glie li ha forniti.

Sunak dovrà fare scelte in relazione all’economia e all’inflazione galoppante, che nel regno viaggia ormai su due cifre con ricadute rovinose sul potere d’acquisto e sull’occupazione. Anzi qualcosa ha già cominciato a fare, dando di scure sui servizi e sulle tutele di cui ancora beneficiavano gli inglesi, nel solco di quella che è sempre stata la linea dei locali governi conservatori e più in generale di quasi tutti gli esecutivi europei, compresi quelli sedicenti di sinistra. Anzi, l’offensiva di classe del padronato incontra meno ostacoli laddove viene agitato lo spettro di un nemico esterno e se si sgonfia questo svaniscono i pretesti per quella.

Il nuovo premier non sembra perciò essere l’iniziatore di un nuovo corso e di certo non lo sarà in relazione alla guerra totale contro la Russia, iniziata ben prima che Mosca reagisse all’aggressione occidentale con modalità a dire il vero inaspettatamente omeopatiche. Questo perché certe decisioni non dipendono dalle preferenze del personaggio di turno ma nemmeno dal partito di appartenenza: la russofobia del leader laburista britannico Keir Starmer è infatti del tutto sovrapponibile a quella dei conservatori e ovunque si apponga la crocetta sulla scheda elettorale vinceranno sempre, lì come altrove, i fiancheggiatori dei nazisti.

Nella sua fugace presenza a Downing Street, mrs. Truss è comunque riuscita a combinarne una più grossa di lei, inviando un lapidario messaggio al segretario di Stato americano Blinken (“Tutto fatto!”) due minuti dopo gli attentati ai gasdotti North Stream, quando ancora nessuno sapeva che cosa era successo. Ciò da un lato evidenzia la drammatica facilità con cui in Occidente un dottor Stranamore qualsiasi può ritrovarsi alla guida di una potenza nucleare, dall’altro fa temere che il conflitto si trovi già in una fase in cui ogni scrupolo di natura politica o etica è ormai alle spalle.

Se Truss si fosse autosilurata in mare in virtù di tale crimine internazionale sarebbe un buon segno perché significherebbe che in terra d’Albione esistono ancora reazioni immunitarie alla follia totale, ma è invece probabile che la sua caduta derivi unicamente dalle balorde decisioni di natura fiscale che hanno prodotto una tempesta finanziaria con conseguente tracollo della sterlina. E che il regno di Carlo III continuerà ad essere la componente più sconsideratamente guerrafondaia dell’intero circo Nato.

L’area carolingia dell’Europa con i suoi addentellati subisce invece il clima di guerra e vi si adegua servilmente, ma senza gettare più benzina sul fuoco di quanto gli viene richiesto. Digerisce in silenzio la penuria di energia a basso costo con relativo collasso delle proprie economie nazionali e se ne sta sulla riva del fiume sperando che il cadavere dell’attuale congiuntura passi prima del proprio. Perfino la Germania, che in ambito Ue è il paese più danneggiato dalla straripante russofobia e ultimamente anche oltraggiato dagli attentati alle sue linee di approvvigionamento energetico, se ne sta sull’attenti e batte i tacchi alle disposizioni che piovono dall’ombelico dell’impero. Forse al momento non può fare altro senza entrare pericolosamente in urto con l’amministrazione Usa, ma è certo che l’attentato sottomarino di matrice inglese costituisce un vulnus che non sarà dimenticato e che evidenzia la spocchia con cui l’anglosfera si rapporta con gli altri paesi, in qualunque continente siano collocati.

C’è sicuramente da parte britannica la persuasione di agire con le spalle coperte dall’assai più dotato alleato d’oltreoceano e quindi la certezza di poter impunemente combinare qualsiasi porcheria, ma c’è anche dell’altro. L’essere una potenza imbattuta negli ultimi sei secoli (se si eccettua la perdita delle tredici colonie americane nel 1783), l’aver vinto le due ultime guerre mondiali (ma grazie all’intervento Usa), il discendere della più vasta costruzione imperiale della storia ed averne conservato vantaggi economici nonché qualche influenza politica, ma soprattutto il successo nell’esportazione a livello planetario dei propri valori culturali, contribuisce a mantenere vive nel tempo ambizioni geopolitiche fuori misura nonché il legame ossessivo con un passato di cui nessun governo oserebbe liberarsi a cuor leggero.

Londra gioca su tutti i teatri coltivando l’idea che al mondo non vi sia evento che non tocchi i suoi interessi nazionali, dal Mediterraneo all’Africa al Pacifico. E’ un nano che fa la voce grossa perché seduto sulle spalle di un alleato gigante ma che coltiva un protagonismo anacronistico, in giorni come i nostri anche assai pericoloso.

L’8 novembre si vota negli Usa per rinnovare l’intera Camera dei deputati ed un terzo del Senato. Se come sembra i repubblicani otterranno una vittoria significativa, ciò potrebbe portare qualche correzione nella politica estera americana, specie in relazione alla guerra in Ucraina, benché su tale punto il partito appaia oggi abbastanza diviso. In tal caso il nuovo governo inglese potrebbe esserne influenzato, ma difficilmente germoglieranno sulla sua isola i semi di una ritrovata distensione internazionale.