Anna Lombroso per il Simplicissimus

A parte l’incancellabile memoria da elefante di Google, a prima vista non c’è certezza sull’efficacia del susseguirsi di lettere aperte, appelli e petizioni che si susseguono per perorare la causa del proseguimento dell’azione di “governo” di Mario Draghi, mai votato, mai eletto, mai passato attraverso una verifica del consenso che non sia quella di Pagnoncelli.

Di memoria, a ben vedere,  ne erano dotati anche i caratteri di piombo con i quali sono giunte fino a noi le firme sotto il manifesto della razza, eppure. E anche quelle dei sopraffini intellettuali che due anni fa hanno pubblicato l’accorato sostegno all’esecutivo dell’avvocaticchio che oggi denigrano e ridicolizzano, per celebrarne lo sforzo profuso per gestire una emergenza mai vista prima

La verità è che il loro impegno propagandistico inusuale – ma quando gli intellettuali sale della terra e spirito critico di una nazione invece di opporsi, svolgere azione critica, mettono la faccia per celebrare ceto dominante e poteri forti? –  ha successo nella misura nella quale la gente di fa convincere, approva, si assoggetta alla loro ideologia, ai valori che propagano, al culto della personalità che si traduce nelle vergognose consegne morali e culturali di Scurati oggi , di Flores d’Arcais che ci diffida dal farci possedere “dalla fase psichica infantile del “principio di piacere” per avventurarsi in quella adulta del “principio di realtà”,  sapendo perfettamente che al peggio non c’è mai fine. Peggio del governo Draghi sarebbe, oggi, la caduta del governo Draghi….” e ieri i sacerdoti dei templi di Panseca, i pensatori sulla fune del circo mediatico di canale 5, le dinastie bocconiane, tutti uniti nello sforzo di far dimenticare   i difensori della razza e le tappezzerie dei salottini della Sarfatti.

Eccoli qua i sindaci che si sono fatti aumentare gli stipendi malgrado i conclamati fallimenti e gli investimenti in fondi tossici, in gara su chi avrebbe applicato per primo i decreti di Minniti e Salvini mondi dai lievi aggiustamenti, e poi mobilitati nelle campagne e i pogrom delle loro polizie municipali contro i disobbedienti sanitari, eccoli qua i docenti  universitari che si sono comprati kapò in erba invogliandoli al controllo di colleghi renitenti al green pass, tutti esponenti di un personale di servizio determinato a proteggere i suoi miserabili privilegi con l’obbedienza e l’assoggettamento.

Eccoli qua gli intellettuali fieri di esibire il pensoso barbone che riconosce gli sforzi del banchiere misericordioso, incantati ancora una volta dalla plastica bellezza della miseria, dal fascino mortifero delle corti dei miracoli e di Germinal, purché dimostri la resa incondizionata perfino del sale della terra alle leggi di mercato  diventate leggi di natura, ai canoni padronali e finanziari diventati principi etici.

Lo possono fare perché abbiamo permesso loro negli anni di cancellare ogni traccia di giustizia e di legalità che dovevano essere capisaldi di democrazia, grazie alla demolizione di ogni valore  e pensiero e voce che parlasse di nazione, riconoscimento di identità, passioni comuni, aspettative perché nella retorica patria rispolverata in occasioni speciali, affondasse l’idea di stato e soprattutto quella di popolo.

Da quanti anni la stessa parola “nazione” è stata demonizzata, censurata come evocatrice di fermenti sciovinisti inaccettabili in un mondo globalizzato che aspira a abbattere confini per creare una falsa identità comune?  Da quanti anni è stata magnificata la rinuncia a poteri e competenze come doveroso contrasto al sovranismo associandolo a quelli contro il razzismo, l’omofobia, il neo fascismo?

E da quanti anni viene negato che il principio di sovranità sia ampiamente rappresentato nella Costituzione più bella del mondo che lo ritiene fondamento della democrazia e per questo osteggiata dal nazismo e dal fascismo, così come dall’ideologia liberista che ha imposto un modello di economia privatistica interpretata perfino dalla imprese pubbliche, dalle aziende di servizio, dai partiti?

Eppure non era scritto che la subordinazione a un potere sovranazionale manovrato oltre oceano fosse inevitabile, che il vincolo esterno potesse tradursi solo nella forma dittatoriale che ha assunto in Europa, incompatibile dunque con un disegno federativo in modo da realizzare una totale dipendenza eterodiretta.

Ma anche in questo caso nazione, stato, sovranità, rappresentanza e soprattutto Popolo sono diventati stilemi  impronunciabili grazie a un processo di polizia linguistica, accettabili solo se ammansite dal riferimento alla dimensione corretta, moderna e progressiva dell’Ue, l’unica in grado di limitare i vizi italiani, velleitarismo, ignoranza, indolenza, arretratezza culturale, provincialismo che sconfinano in familismo, clientelismo, corruzione.

Qualcuno fa risalire a poco meno di vent’anni dopo il Britannia, Capaci e via D’Amelio,  Mani Pulite, l’uscita dal sistema monetario con l’infrazione oltre il 6% a colpevolizzarci del cattivo rendimento, a quel 2011 cioè,  la completa cancellazione dei poteri e delle competenze dello stato sovrano, la demolizione del sistema parlamentare, grazie al ricatto dello spread, all’insediamento di Monti, alla  guerra di Libia in aggiunta alle campagne già condotte in prima fila al servizio degli interessi Nato e che andava chiaramente contro i nostri di interessi, celebrata dal fronte progressista come riconquista del paese che era stato oggetto della nostra cruenta a maldestra colonizzazione, alla democrazia occidentale

È che quello che si potrebbe definire l’anazionalismo oltre che la conferma della trasformazione dello stato in contesto per appagare gli appetiti del sistema economico-finanziario dominante, nutrire la bulimia delle multinazionali convertendolo in organizzazione di aiuti a fondo perduto, di mostra l’impossibilità a   trasformazioni sociali che ostacolino il dominio incondizionato dell’economia e del mercato, esaltando le tare storiche del modello italiano, la natura del suo sistema imprenditoriale, l’espandersi di una economia informale con la propensione all’evasione e all’applicazione di procedure mutuate delle organizzazioni criminali, la consegna a un disegno di privatizzazioni non certo nuovo e che ha investito insieme allo Stato, lo stato sociale  e quello di diritto. Mentre intanto austerità, rigore, regole arbitrarie imposte in nome della necessità di guadagnare un reputazione sono invece obbligatorie per ceti e classi che via via scivolano inesorabilmente verso nuove povertà, verso la precarietà, verso la servitù.