Davvero non si finisce mai di meravigliarsi e di constatare come la realtà riesca a crescere e a manifestarsi sotto il sudario sistemico di menzogne, anzi di vera e propria creazione di una “matrice” del tutto artificiale che tiene assieme lo scenario neoliberista e imperialista. Pensate che in questi giorni in cui ai buoni cittadini europei tipicamente non odiatori si chiede di odiare anche Lukašėnko, oltre a Putin, alla Cina, all’Iran al Venezuela, alla Siria, Bloomberg ovvero la piovra dell’informazione economica che ci riempie non tanto di notizie, quanto di “stories” come essa stesa dice, si lascia sfuggire un’inattesa verità dal sen sfuggita sul “dittatore” honoris causa della Bielorussia. Leggete attentamente perché ne vale pena: ” La Bielorussia è l’ex repubblica sovietica dove ci sono le migliori condizioni di vita, il prodotto interno lordo pro-capite è il doppio di altre ex repubbliche dell’URSS come la Georgia, la Moldavia o l’Ucraina, la diseguaglianza è più bassa che nelle nazioni scandinave, la percentuale di persone che vivono in povertà è inferiore a quella di metà delle nazioni europee e anche degli Stati Uniti.” 

Bloomberg fornisce anche una sua spiegazione su questo inedito panorama, ovvero il fatto che la transizione dall’economia pianificata a quella globale di mercato non è avvenuta di colpo, ma con lentezza ossia. “alla velocità di un trattore su un prato fangoso” come dice con scontata immaginazione agreste il sito, visto che nel Paese le maggiori industrie producono macchine agricole. Dunque in poche parole si affermano alcune cose importanti e del tutto contrarie alla favola che sta inventando l’informazione di sistema: 1) che il merito di una condizione migliore della Bielorussia va proprio a Lukašėnko che ha garantito un passaggio graduale e comunque non totale al nuovo paradigma globalista, il che giustifica il risultato elettorale che gli ha fatto ottenere l’80 per cento dei voti, altro che brogli; 2) che l’economia  di mercato aumenta la disuguaglianza e l’impoverimento e che anzi questi due effetti correlati vengono dati per scontati dentro il neo liberismo. Sarebbe qualcosa che dovrebbe far riflettere pur nell’epoca in cui la riflessione è vietata in quanto ogni ontologicamente ostile all’illimitata mercantilizzazione di ogni ambito  della vita oltre che nemica del presente quale unica dimensione della storia e del politico.

Insomma dal cuore stesso del capitalismo estremo, in via di trasformarsi in dittatura sanitaria,  arriva la contestazione dello stesso. E mostra come le opposizioni, prima quella elettorale e adesso quella “spontanea” a suon di milioni di dollari e di campagne stampa, non siano in grado di proporre altro che le vecchie ricette post sovietiche delle privatizzazioni ad ogni costo, della eliminazione totale del welfare e della espulsione dello stato dell’economia affiché le multinazionali possano arraffare tutto. E questo in cambio di una vacua democrazia senza contenuti, ma gonfiata dal gas inerte degli slogan, delle parole d’ordine e delle immagini simboliche che vede come tradizionale addetto alla pompa dell’aria compressa Bernard Henry Levy che non ha perso tempo ed è volato in Bielorussia ad appoggiare “moralmente” la cosiddetta rivolta, in realtà a fare da presentatore di peso a uno show occidentale fatuo e di pessima qualità, compresa anche l’alterazione dei dati di base ossia che le manifestazioni pro Lukašėnko sono state molto più popolate di quelle “oceaniche” dell’opposizione.  Talmente pessimo e scoperto che il miserabile spettacolino offerto da tre ballerine di fila della protesta, in realtà molto simile a una televendita,  si è limitato alla citazione a sproposito della libertà senza alcun altra specificazione e alla gestualità manuale da Facebook e dunque di immediato e sicuro effetto per gli ottusi: un cuore, un pugno chiuso e la solita V di vittoria fatta con le due dita. Peccato che in bielorusso vittoria si dica Pobeda, senza nemmeno una miserabile V. Ma che importa i destinatari del messaggio non erano certo i cittadini bielorussi, ma le televisioni e i fotografi occidentali, anche se va detto che in questo senso il mancato outing lesbico di una delle tre partecipanti ha un po’ appannato la performance e attenuato il forte progressismo del messaggio. Francamente è impossibile non scherzare di fronte questo Netflix della geopolitica.