Anna Pulizzi per il Simplicissimus
Chissà, sarà in virtù di un’inedita strategia che si prolunga una guerra pur disponendo delle forze necessarie per abbreviarla, che si diluiscono i reparti rendendo impossibile ottenere una superiorità netta in qualsivoglia settore, che si dà al nemico il tempo per organizzare qua e là periodiche controffensive. Di certo questo modo di condurre le operazioni rischia di provocare malumore e imbarazzo a vari livelli, tra i vertici militari come tra le truppe, nell’alveo politico come tra l’opinione pubblica. Se a cento giorni dall’inizio delle ostilità l’artiglieria ucraina può ancora bersagliare le scuole di Donetsk, città la cui messa in sicurezza rientrava tra gli obiettivi primari dell’offensiva essendo capitale di una delle repubbliche autonomiste del Donbass, è del tutto legittimo domandarsi se qualcosa è andato storto, se esiste la capacità di raddrizzare la situazione e in caso negativo quali conseguenze possono derivarne per i supremi responsabili.
Anche riconoscendo ai vertici del Cremlino strumenti di valutazione assai più precisi di quelli cui dispone ogni persona comune compresa soprattutto chi scrive, è evidente che la campagna è iniziata col piede sbagliato ed ha subito profonde correzioni in corso d’opera non appena ci si è resi conto di aver fatto male i calcoli, sia in relazione alla resistenza nemica sia soprattutto riguardo alle forze messe in campo per superare eventuali inconvenienti. Tali correzioni sono all’origine della rapida ritirata delle unità russe lungo tutto il settore settentrionale, decisione di per sé discutibile poiché se l’intenzione era quella di ricavare forze da dirottare verso altre zone, sarebbe bastato passare sulla difensiva magari attraverso un parziale arretramento volto ad accorciare il fronte. Invece si è deciso di tornare direttamente sulla linea di confine, che non è affatto più corta di quella precedentemente raggiunta, restituendo una vasta porzione di territorio la cui conquista era sicuramente costata in termini di vite e materiali, esponendo la popolazione locale alle rappresaglie ucronaziste, fornendo insperati motivi di fiducia al governo di Kiev così come ai suoi burattinai Nato e infine esponendosi al pericolo di incursioni in territorio russo, trascurabili sul piano strategico ma pesanti sotto quello mediatico.
Dopodiché ci si attendeva tutt’altra musica con l’inizio della cosiddetta seconda fase, ma al netto di qualche evento caratterizzato da un maggior dinamismo a ridosso del Donec e in direzione di Artemovsk, la pressione russa continua ad essere insufficiente per produrre sfondamenti degni di nota nonostante ora si combatta lungo un fronte la cui lunghezza è all’incirca un sesto di quella originaria. A ciò si aggiunga che i russi godono dell’assoluta padronanza dei cieli e di una superiorità illimitata riguardo alle forze missilistiche. Sul lato meridionale, quello che all’inizio aveva regalato al comando russo le maggiori soddisfazioni, la situazione è bloccata ormai da un mese e le forze di Mosca non registrano alcun progresso su settecento km di fronte, ma nemmeno la conquista di un paesello di tanto in tanto, cosicché tutta questa inattività ha permesso agli ucraini di abbozzare qualche contromossa senza pretese ma dal valore simbolico a nord di Kherson. Che lo scopo dei comandanti russi sia quello di ridurre al minimo la devastazione dei territori conquistati è una scusante vecchia già di tre mesi ma che continua a non stare in piedi. E’ evidente che una guerra di movimento produce meno danni e vittime rispetto a quella in cui si deve avanzare palmo a palmo.
Di certo nella cabina di regia della Nato sono convinti che il generale tempo militi dalla loro parte; dopotutto sono loro che hanno provocato questa guerra sperando di dissanguare l’economia russa fino a causare una crisi politica interna. Forse non avevano previsto che le sanzioni avrebbero al contrario irrobustito le finanze del nemico e che anzi si sarebbero ritorte brutalmente contro i suoi artefici, ma di certo non hanno ancora perso le speranze di giungere al risultato agognato. Meno chiaro è come possa risultare conveniente prolungare il conflitto nell’ottica di Mosca. Se anche le forze russe dispongono al momento di un vantaggio che non può essere vanificato dalla mole di armamenti che i paesi occidentali inviano al fronte, non è affatto garantito che tale situazione perduri sul lungo periodo, considerando che in cifre assolute la Nato spende ogni anno per la produzione e l’ammodernamento delle forze armate almeno quindici volte quel che sborsa la Russia. Comunque la si giri, un conflitto è come un sorpasso e andrebbe portato a termine senza tentennamenti e nel modo più rapido possibile. Una guerra-lampo avrebbe impedito alla Nato di organizzare contromisure e di adescare l’amo per i governi svedese e finlandese, e non avrebbe gettato ombre pericolose sulle capacità militari di Mosca, almeno in un conflitto convenzionale.
Cosicché se la guerra-lampo non si è vista il motivo è elementare, cioè non erano state allocate forze sufficienti per attuarla, né all’inizio né una volta constatato che al ritmo attuale il confronto potrebbe protrarsi a lungo, con somma soddisfazione dell’apparato militar-industriale americano e dei circoli bellicisti che partoriscono presidenti votati ai deliri di dominio planetario e preferibilmente rimbambiti. D’altra parte, che sul lato occidentale si sia smarrito del tutto il senso della misura lo prova in questi giorni la decisione di omaggiare Kiev con i lanciarazzi mobili Himars ed i droni Gray Eagle, in pratica quel che serve per colpire il territorio russo provocando reazioni non proprio prevedibili. A gettare più benzina sul fuoco è come sempre il governo britannico, incapace di comprendere che se le cose dovessero sfuggire di mano non basteranno come in passato la Raf e la Royal Navy a proteggere l’isola dalla distruzione immediata. Infine, non è detto che i presunti malumori che circolerebbero al Cremlino siano solo un’invenzione della propaganda nazi-atlantista, anche se a giudicare dalle stupidaggini che questa produce quotidianamente viene naturale pensarlo. Però è presumibile che a Mosca non tutti siano persuasi che si sta operando al meglio sul piano strategico ed una disavventura bellica può danneggiare pesantemente l’immagine di un capo di stato, anche quando gode di un robusto consenso tra la popolazione. Se ciò accadesse, quasi sicuramente l’indirizzo politico moscovita piegherebbe verso soluzioni ed atteggiamenti ancora più sgraditi alle cancellerie occidentali, che si ritroverebbero a rimpiangere Putin e la sua politica ispirata ad una disponibilità forse eccessiva, di cui l’Occidente ha colpevolmente e ciecamente abusato.