Quatti quatti approfittano delle vacanze estive per trasferire l’intera azienda in Polonia dove li attende un nuovo capannone costruito con i contributi del governo polacco. Nessuno sapeva, nessuno aveva intuito, perché non c’era alcuna crisi: il verme della fuga era dentro una proprietà decisa a non inventarsi più nulla e a recuperare profitto sulle vecchie produzioni; l’alibi è stato fornito dai Marchionne che dicono che non si può fare impresa, da una politica in ginocchio imbelle e ossessionata da un concetto grezzo e primitivo di competitività e da sindacati divenuti predicatori d’impresa più che testimoni della condizione operaia.
Così la Firem di Formigine, nei pressi di Modena, che produce resistenze elettriche per elettrodomestici, ha aspettato che i 40 dipendenti andassero in vacanza per impacchettare tutto e spedirlo in Polonia: salvo un unico macchinario che ora è guardato a vista da un presidio di operai precipitosamente tornati. Tutto questo al di là dell’infamia del sotterfugio significa un po’ di Pil in più per la Polonia e un po’ di meno per noi: ma naturalmente Bruxelles non ci pensa nemmeno a regolamentare in qualche modo queste diaspore industriali, perché aderiscono comunque allo spirito di umiliare il lavoro. E a questo ci tiene tanto Olli Rehn assieme alle altre cavallette della governance continentale.
D’altro canto non sarebbe nemmeno così difficile reagire e così come Schengen viene ogni tanto abolito per impedire dimostrazioni o immigrazioni, così si potrebbe stabilire una sospensione ad aziendam del libero mercato: la Firem se ne va in Polonia per fare più profitti e pagare meno il lavoro, vuole approfittare degli eserciti di riserva senza dire nulla e chiudendo da noi? Benissimo che vada, ma i suoi prodotti da qualsiasi parte del vasto mondo possano giungere, sotto qualsiasi forma o inseriti in qualsiasi oggetto, dovrebbero pagare un dazio abbastanza alto da essere completamente tagliati fuori sul nostro mercato e da tagliar fuori chi li utilizza. Poi facciano quel che vogliono, vadano dove vogliono: ma non pensino di sfruttare il lavoro, il sapere, le capacità italiane per andare a produrre altrove. Vadano, facciano Firemkoskji e tanti auguri: i concorrenti meno avidi e forse anche più capaci venderanno di più.
Se fosse stato fatto questo per ogni produzione o servizio semplicemente trasferito altrove avremmo meno bolle finanziarie da profitto e meno disoccupati.
Si è ripresentata una situazione simile a quella del trasferimento di capacità produttive nel meridione approfittando dei contributi statali. La differenza sta nel fatto che gli italiani pagano i contributi comunitari che servono a favorire questi trasferimenti produttivi in altri stati. E sono compresi anche stati sottosviluppati non UE. Non è quindi per contenere i costi di produzione che gli imprenditori fanno queste operazioni. Infatti il costo unitario del prodotto in Polonia (per fare un esempio) non è inferiore a quello italiano. Il motivo del trasferimento è solo che viene regalato uno stabilimento nuovo agli impresari. Occorre che gli operai prendano coscienza che devono riappropriarsi dei mezzi di produzione perché gli imprenditori all’italiana (senza soldi e senza idee, ma capaci solo di approfittare dei contributi statali) non servono a nessuno. E se ne può fare a meno, anche perché l’UE stanzia fondi per quei lavoratori che vogliono acquistare la fabbriche lasciate dagli imprenditori che si trasferiscono all’estero. E sicuramente i nostri lavoratori potrebbero rendere la vita molto difficile alle imprese delocalizzate, se solo rinunciassero a pensare che lo Stato deve dare loro lo stipendio perché disoccupati. Questo è il tranello con cui stanno rendendo sempre più difficile ai lavoratori il rispetto dei loro diritti. Si scambia la pace sociale con il sostegno alla disoccupazione. I risultati sono evidenti: la crisi economica continua e continuerà a mordere a tempo indeterminato.
Ad ogni modo, i proprietari vanno in Polonia perché laggiù dispongono di sovvenzioni statali appetibili. Sovvenzioni in parte materializzatesi grazie agli aiuti comunitari (cioè noi paghiamo almeno in parte la concorrenza a noi stessi). Il costo del lavoro dice quel che può, e comunque i polacchi non sono così a buon mercato: credo che un peso più importante derivi dai costi dell’energia. Sono fenomeni transitori: è il dopo l’incognita.
il sistema e’ capitalistico e queste cose fanno bene al sistema, ognuno lavora dove vuole come vuole. Se la polonia diventa la terra del benessere, gli italiani vadano in polonia.
Una vicenda che mi tocca da vicino (la fabbrica sta a 20 – 25 km da dove sto io). La soluzione è sempre la stessa: via le tasse dagli stipendi degli operai. Vanno messe addosso a chi ha i soldi.
Vedete, il fatto che un furbetto scappi con i macchinari pagati da noi tutti (ci scommetto…) senza restituire i sussidi elargiti dai nostri amministratori locali (scommetto anche su questo, conosco casistiche….) non è in se tragico. La tragedia è che il capannone resterà vuoto. Basterebbe spostare un po di tasse levandole di dosso dagli operai e piazzandole addosso a chi commercia capannoni vuoti, e quel capannone si riempirebbe subito di persone che lavorano. Ci scommetto.
Ma non potete usare due pesi e due misure. Quando si parlava delle società in Costarica del vostro Guru, andava tutto bene e non c’era nessuno scandalo perchè la legge lo consente; se la stessa cosa la fanno gli altri, sono criminali senza scrupoli nè senso sociale. Ora, io propendo per la seconda ipotesi, ma voi sceglietene una perchè fino ad ora tenete il piede in due scarpe
E per finire di umiliare i lavoratori gli hanno detto che, se vogliono, il posto di lavoro ce l’hanno….in POLONIA!!!!