Anna Lombroso per il Simplicissimus

Succede a volte di avere nostalgia di una di quelle menti luminose generose di sé, che sembra non si affaccino più nella nostra immediata contemporaneità. Oggi dopo l’autodenuncia di impotenza e irresponsabilità di alcuni esponenti della casta “scientifica” a me verrebbe voglia di ascoltare le parole sensate e profetiche di Giulio Maccacaro, che nel 1976 – ma sembra oggi – denunciava: “E’ in corso, ed è a tutti evidente, un’azione incalzante, percussiva, e senza scrupoli condotta, da parte del sistema di potere che in questo paese effettualmente domina, la quale mira allo smantellamento del diritto alla salute, delle strutture pubbliche, della partecipazione popolare; che mira a fare della scienza, salute e della medicina occasione di speculazione, potere, privilegio e oppressione feroci”.
Ha ragione il Simplicissimus di riferirsi al tanto proclamato principio di precauzione che forse è stato interpretato come un modo di essere cauti prima e magari anche dopo un evento, così si passano meno guai, anzi, meglio ancora, tenersene fuori, così non si sbaglia.
E certo suona un po’ risibile pensare che principio di precauzione e principio di responsabilità siano dei capisaldi delle politiche di prevenzione dell’Europa, che li enuncia tenendosene lontana forse a scopo apotropaico, preferendo loro formidabili e prevedibilissime catastrofi punitive di paesi indisciplinati.

Ecco Maccacaro a proposito delle incertezze della scienza, l’unica certezza che si ha è che la scienza non è neutrale. Anzi è nel suo complesso una disciplina al servizio del potere e quindi del mercato. E oggi più che mai, se non ci sarebbe spazio per Marie Curie o Pasteur se non nei laboratori farmaceutici, se chi fa ricerca deve sempre più assoggettarsi al mercato e alle regole della concorrenza, e se l’autorità di riferimento in tema di staminali è la potenza mediatica di Theleton. E se una comunità scientifica non solo italiana, rivendica le sue sicurezze inconfutabili a intermittenza: terremoti no, nucleare si, Ilva cancerogena? forse.
Mezzo secolo fa uno scienziato inglese, C.P. Snow pubblicò un saggio, Le due culture, che allora fece epoca, mettendo l’accento sulla frattura tra cultura umanistica e cultura scientifica. E sui diversi gradi di dipendenza morale della scienza dalla finanza, da chi controlla le merci e gli eserciti. Il libro ebbe successo ma certo fu poco dissuasivo per chi alimentò il sogno demiurgico, diventato incubo, di un uomo in grado di raggiungere l’onnipotenza con l’uso della tecnica, dell’apprendista stregone capace di superare i limiti della natura e della ragione, incurante dei tremendi rischi di nemesis che la sua hybris genera.

E a confortare il delirio di onnipotenza che ha accompagnato la crescita che si voleva illimitata ci sono innegabili successi: l’allungamento delle speranze di vita, l’attenuazione del dolore. Si dovrebbero aggiungere azioni volte ad imbrigliare fenomeni naturali estremi, ma è proprio qui che quella ideologia di uno sviluppo assoluto e smisurato mostra la corda: mercato e finanza instupiditi dai facili guadagni immateriali, sistemi politici e imprese che ne subiscono la fascinazione, quindi permeabili alla corruzione hanno rinunciato a investire per ambientare la crescita.
Il terremoto non è più una catastrofe naturale se nulla è stato fatto per prevenire non l’evento, ma i suoi effetti. E questo la comunità scientifica lo sa, così come conosce l’intreccio infernale che si è creato tra sistema di gestione delle catastrofi e profitti provenienti dalla “ricostruzione”.
Alla lettura della condanna, stavolta, all’Aquila nessuno ha riso, non c’è stata soddisfazione. Perché non può esserci risarcimento per l’imprudenza e tanto meno per l’impudenza di una casta un cui rappresentante molto influente ebbe a dire che il sisma è la punizione per costumi corrotti.