Del libro fotografico su Berlusconi “Noi amiamo Silvio” mi ero occupato alcuni giorni fa. E pensavo che fosse una vicenda chiusa nel recinto del malgusto servile, della incompetenza grafica e del narcisismo del premier. Insomma  un prodotto genuinamente berlusconesco nella sua sfacciata falsità. Eppure oggi sul Corriere della Sera  Alberto Peruzzo, editore di cotanta opera, dice un’illuminante verità sul cavaliere, poche parole alla fine di un’ intervistina che gettano più luce su questo periodo di quanto non ne facciano parecchie ponderose analisi.
L’editore che si dice amico del signor B cerca di alleggerire un po’ la gaffe dei berlusca dall’ aspetto alieno e delle folle copia e incolla che lo acclamano, restituisce il giudizio al mittente, anzi al mandante:  «Cosa vuole che le dica, io avrei lasciato tutto al naturale, lui ha voluto cambiare un po’ la scenografia. D’altronde la gente è abituato a vederlo in un certo modo e magari senza quegli accorgimenti non l’avrebbe riconosciuto».
Due righe e quindici anni d’Italia: Berlusconi, la sua politica, i suoi governi sono cartapesta. Se manca il trucco, il posticcio, tutto diventa irriconoscibile, un oggetto misterioso. Senza artificio grafico o mediatico, senza una radicale bugia ogni cosa perde di senso: sotto il leader scopri il palazzinaro, sotto il politico l’affarista disposto a tutto, sotto il giovane il vecchio e sotto le parole un report di agenzie di sondaggio.
Il vero Berlusconi esiste in realtà solo nello spazio bidimensionale delle foto, della tv, delle parole scritte o pronunciate, come scenografia del potere: in tre dimensioni perderebbe di senso. Per tutti. Persino per le sue candidate.