E’ davvero sorprendente e sconfortante vedere come il Vaticano sia diventato una sorta di sportello diciamo così pseudo spirituale del globalismo nordamericano, senza più traccia di una qualunque autonomia: è bastato che Victoria Nuland annunciasse le proprie dimissioni forzate perché il facente funzione di Papa chiedesse all’Ucraina di arrendersi. La coincidenza è inquietante, ma innegabile: la persona che da una dozzina e passa di anni aveva guidato la trasformazione dell’Ucraina da stato sovrano a mazza ferrata contro la Russia, viene costretta a lasciare il suo incarico vista la totale confitta del regime di Kiev e il capo di una cristianità che tenta di “modernizzarsi” assumendo in toto l’agenda neoliberista e globalista, scopre improvvisamente che gli ucraini stanno perdendo decine di migliaia di uomini ( anzi centinaia di migliaia) e che bisogna arrivare alla pace, mettendo fine a questo macello.

Meglio tardi che mai tuttavia questa situazione è in atto ormai da molti mesi anzi in pratica da quasi un anno, da quando cioè è cominciata la mitica controffensiva che fin dal primo giorno si è mostrata per quello che era, ovvero una pura macelleria, senza che il Vaticano si sia mai preoccupato dell’inutile strage e anzi in più occasioni si sia mostrato, per quanto lo consente l’ipocrisia che ha preso il posto della fede, favorevole al regime di Zelensky e ignaro delle ragioni che hanno portato la Russia ad intervenire. Dunque il fatto che il Vaticano se ne esca a sorpresa con la richiesta a Kiev di alzare bandiera bianca nel momento in cui Washington comincia ad ammettere implicitamente la sconfitta congedando l’autrice principale , è il segno inequivocabile di un coordinamento tra la Chiesa di Roma e il potere oligarchico. Naturalmente per carità di patria in un Paese che rimane cattolico, anche se questo termine comincia a diventare indefinito e sospetto, si cerca di interpretare la svolta vaticana in senso positivo, un messaggio di pace diretto a Washington e a chi, come per esempio Macron, sembra cercare insensatamente un’escalation. Ma pare invece evidente dalle inequivocabili coincidenze che il percorso del messaggio sia inverso e che il Papa abbia avuto, in un certo senso il via libera per fare il Papa e non il cappellano del reggimento Azov.

E’ del tutto evidente che se questi appelli dell’ultimo momento contro il massacro fossero sinceri, essi avrebbero dovuto essere forti e chiari sin dall’inizio, avrebbero dovuto risuonare per scongiurare la guerra e anzi ancor prima per fermare i bombardamenti sui civili in Donbass che adesso persino il New York Time riconosce come atrocità da parte degli ucraini . Invece è rimbombato il silenzio rotto in qualche occasione da prese di posizione in favore di Kiev, anche se untuosamente presentate e rimane l’immagine del Papa che maneggia con soddisfatta compunzione la bandiera ucraina, anche “abbellita” dalle simbologie naziste. Nemmeno nelle settimane scorse, quando è piombata come un meteorite la documentazione che dimostra come Washington e Londra abbiano sabotato un accordo di pace, praticamente già siglato tra Russia e Ucraina nella primavera del 2022, il papa non ha fiatato, anche se questa sarebbe stata l’occasione giusta per prendere le distanze dai guerrafondai.

Gli ucraini hanno perfettamente ragione a sentirsi traditi da un Vaticano che è sembrato più che altro un’ accogliente cappella privata della Nato e a lamentarsi del fatto che adesso il Papa osi dubitare della vittoria finale, pur avendo per due anni partecipato al mondo illusorio della sconfitta della Russia. Per non parlare del fatto che solo gli sciocchi non vedono il legame tra il massacro ucraino e quello in Palestina, tra due cinismi fatti l’uno per l’altro, tanto che è impossibile per chi ha conservato un minimo di testa, cioè per un’esigua minoranza, separare le due cose, essere contro l’uno e a favore dell’altro. La prossima volta tanto vale eleggere come papessa la Nuland: si risparmierebbe tempo e imbarazzo.