Ricordate un anno fa all’inizio dell’operazione russa quando i nostri grandi strateghi sostenevano che la Russia sarebbe ben presto implosa, che la rabbia popolare avrebbe spazzato via chi aveva indotto Mc Donald ad andarsene? E ricordate la stolta sicumera con cui molte aziende occidentali si ritiravano da mercato russo, sicure che in breve tempo i russi avrebbero supplicato il loro ritorno? Tra questi c’erano anche parecchi gruppi automobilistici i cui amministratori delegati non erano stati avvistai dalla mamma dell’esistenza di altri costruttori in  Asia e del fatto che in ogni caso le tecnologie costruttive fossero presenti in Russia e che occorreva semmai solo riorganizzare la produzione.  Così adesso ci troviamo di fronte all’imbarazzante  fatto che la vendita di auto nel Paese è aumentata di 2,6 volte nel primo trimestre del 2023 che è molto più rispetto alla crescita europea che si situa intorno al 20% e che in realtà esprime solo  un timido recupero rispetto agli sprofondi avvenuti nel periodo della pandemia e l’anno scorso.

Non sarà una sorpresa sapere che il 40 per cento del mercato russo è stato occupato dai modelli cinesi che hanno interamente sostituito gli europei grazie ai prezzi concorrenziali e all’ottima qualità dell’insieme e che i modelli coreani hanno perso terreno dovendo essere importati con triangolazioni varie ma quello che più conta è che nel giro di qualche mese l’industria russa è stata in grado di produrre in proprio sistemi che prima importava, come ad esempio, gli Abs più sofisticati che sono oggi quasi  d’obbligo in Russia a causa del clima e dunque delle condizioni delle strade. Per questo sia  Lada, sia la Vaz di Togliatti stanno presentando nuovi modelli, tra cui alcuni già elettrici, Insomma alla fine i veleni occidentali si sono rivelati un ricostituente  per l’industria russa dell’auto. Così come la le sanzioni sono state un veleno per l’occidente.