Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nella folgorante immagine di Galbraith, quando disegna un futuro distopico di opulenza privata nella pubblica miseria è probabilmente contenuto un errore di  calcolo della misura e proporzione dei due fenomeni, se oggi il lusso sibaritico, sfrontato  e volgare è nelle mani di un ceto sempre più ristretto, avido, feroce e esibizionista, che ha incamerato o oltraggiato per dispetto beni e risorse comuni,  mentre ormai la demolizione e svendita delle proprietà collettive è sottoposta a definitive umiliazioni e dissipazioni.

Ci sarebbe da dire anche sul termine “opulenza”, una ricchezza che si immaginava esclusiva e sontuosa e che mal si attaglia sia a interventi, strutture e opere che hanno  come fine ultimo corruzione, arricchimento personale e vistosa vanità in un clima di bulimia speculativa e ostentata a conferma di una superiorità immorale e criminale. Basta pensare alla regressione dei processi della programmazione urbana ridotta a negoziato impari tra amministrazioni e provati che conquistano suolo, licenze, trasgressioni, regalie in cambio di miserabili premialità offerte al conflitto d’interesse, al voro di scambio, a protettorati clientelari.

Ne sono un valido esempio le elargizioni in circenses offerte alla collettività che divrebbero servire come succedanei delle brioche e al fine di riposizionare la nostra reputazione all’estero, grazie a qualche circo mediatico, alla retrocessione di paesaggio e centri storici in alberghi diffusi e parchi tematici, all’ostinata partecipazione a tenzoni olimpioniche che perseguono la finalità di arricchire cerchie ben identificabili e colpire territori e ambiente con indebitamenti, pressione e impatti non misurabili e irreversibili.

Pare, tanto per fare un utile esempio, che la buona fama di una nazione e la sua competitività internazionale possa valersi come indicatore della presenza di stadi di calcio o della loro realizzazione futura. Ci fanno sapere infatti che Si costruiscono nuovi stadi in tutta Europa tranne che in Italia,per i quali si stima che i vari club affrontino una spesa di oltre 2.5 miliardi di euro.

Il Valencia spende 300 milioni di euro per costruzione del Nou Mestalla che ogni sera ospiterà 55mila tra i  sostenitori dei pipistrelli,  Nimes investe oltre 250 milioni di euro per demolire il vecchio Stade des Costières e costruire al suo posto una struttura pronta per il 2026 e l’AEK Atene sta ultimando il nuovissimo Agia Sofia Stadium, nato sulle ceneri dello storico Nikos Goumas Stadium, per un costo di quasi 82 milioni di euro mentre il Club Brugge ne ha spesi 100 per costruirne uno da 40mila spettatori dove prima sorgeva il Jan Breydel Stadion, mentre l’Everton di Liverpool   sostituirà il glorioso Goodison Park, con un nuovo impianto, dopo 25 anni di lavori e con uno stanziamento di 600 milioni di euro.

E poteva mai tirarsi indietro la Roma, decisa a far dimenticare la disfatta con un impianto in tono minore rispetto ai progetti iniziali affondati in contestazioni, promotori inquisiti e falliti, debiti, corruzione probabile e malaffare sicuro? In una città ormai allo stremo dove il ceto dirigente si solleva dalle responsabilità vecchie e nuove parlando di un complotto, una congiura in un posto che ne ha viste tante e che si consuma su tutti i teatri:  il rogo che sabato ha distrutto tre autodemolitori della periferia Est e riempito il cielo della Capitale di fumi tossici e che si profila sempre di più come un caso sociale, giudiziario e politico, e quelli che hanno investito la filiera dei rifiuti con quattro falò dimostrativi attribuiti – non è una novità – alle infiltrazioni mafiose mentre infuria la battaglia sul termovalorizzatore tra minacce, intimidazioni e leciti dubbi, le piaghe sono antiche trasmesse per via ereditaria da sindaco a sindaco, a cominciare da Alemanno, compreso l’onesto marziano incline a gesti epocali quanto provocatori che ne hanno costruito la fama senza dare soluzioni.

Anche lui insieme alle Olimpiadi, voleva lo Stadio della Roma, subito seguito dalla successora pronta a offrire un’arena all’unico vero re di Roma oggi divorziando, redenta dall’opportunità di soffocare inadeguatezza, carenze di staff e di progettualità nei lavori infiniti di un nuovo Colosseo.

Adesso pare che lo stadio si farà: la nuova localizzazione scelta è nell’area comunale della zona di Pietralata, nella zona est della Capitale raggiungibile anche attraverso 2 stazioni della metro e dalla stazione Tiburtina e in un’area di proprietà di Roma Capitale partner dell’iniziativa con Friedkin, Ceo di Gulf States Toyota Distributors e presidente della Roma.

Il  nuovo impianto, capace di contenere tra le 55mila e le 60mila persone, dovrebbe disporre di un hotel, un ristorante e un irrinunciabile centro commerciale, quindi niente faraonici complessi immobiliari, anzi, sostengono soddisfatti i patron, un’operazione razionale, austera  e sobria come richiedono i tempi difficili e che appaga la proverbiale frugalità fattuale della giunta.

«La nostra politica è stata “prima i fatti, poi gli annunci”, ha dichiarato Gualtieri, ora possiamo svelare che questa fase istruttoria ha verificato che in quell’area, scelta dalla As Roma, è possibile costruire uno stadio…»

La “location” che un tempo doveva ospitare lo Sdo, sarebbe perfetta, così come il progetto anche se restano aperti alcuni interrogativi, sempre per via della tradizionale riservatezza governativa,  a cominciare dal contributo pubblico alla realizzazione dell’opera, sia pure sgravato dai costi di collegamento viario “indispensabili” qualora l’intervento di fosse realizzato a Tor di Valle. E altrettanto vaghe restano le valutazioni in merito alle necessarie iniziative di consolidamento e bonifica e quelle sull’impatto ambientale della costruzione.

È dal 2012 che continua questa interminabile vicenda, da quando l’imprenditore Parnasi grazie alla legge stabilità  propose la realizzazione dell’impianto della Roma nell’area che era stata occupata dal vecchio ippodromo, conquistandosi l’appoggio all’iniziativa affidata alla sua società immobiliare del presidente Pallotta e di Marino, convinti dell’appeal di un’arena  da 52.500 posti espandibili fino a 60mila (il solo 14 per cento dell’area edificata), della sede della Roma AS, di un centro tecnico per gli allenamenti, di un maxistore Nike, un “Roma village” con 245 negozi, di boutique, ristoranti e di uno spazio per eventi con un monitor a 360 gradi con un’amministrazione pronta a investire in opere infrastrutturali 270 milioni pubblici. La Raggi sarà costretta a modificare i piani nonostante le spaccature interne a Movimento, conferendo all’opera un carattere di “pubblico interesse” ma abbattendo cubature, eliminando il Ponte di Traiano, mentre dietro le quinte si agitano i fantasmi delle inchieste e delle indagini giudiziarie. 

E adesso siamo davanti al nuovo corso più sobrio e sacrificale, come richiede l’ideologia di governo che ha ben altri teatri di guerra su cui agire, e i cui sacerdoti si prestano generosamente a stornare qualcosa dai bottini già investiti per i circenses da offrire a un popolo affamato, cui vengono già razionati alimenti, beni e servizi, che forse godrà i goal alla luce della fiaccole proprio come nel vecchio Colosseo, prima che le partite vengano sostituite da esercitazioni più acconce con gladiatori e bestie feroci cui dare in pasto eretici e disobbedienti.