Ciò che sta accadendo in Catalogna in vista del voto consultivo sull’Indipendenza del 1° ottobre, restituisce un vivido quadro di cos’è l’Europa e di dove si sono nascoste le libertà così ipocritamente rivendicate: il governo di Madrid ha mobilitato oltre 10 mila uomini della polizia per impedire l’espressione del voto popolare, mentre un nucleo di agenti anti terrorismo, assieme a reparti di elite dell’esercito sono stati incaricati di sabotare la formazione dei seggi e di imprigionare i promotori del referendum. Ma non basta perché ai mezzi di informazione sono state recapitate decine di ordinanze giudiziaziarie che impongono, sotto la minaccia di conseguenze penali, di non pubblicare propaganda relativa alla consultazione e per maggiore sicurezza è stato ordimato alle poste di non recapitare le pubblicazioni in abbonamento, mentre il tribunale di Barcelona si è incaricato di bloccare l’accesso ai siti web creati dal governo catalano e da altri soggetti istituzionali e politici in vista del referendum. Persino i milioni di volantini stampati proprio per superare questa censura sono stati sequestrati e adesso sono i cittadini stessi a stamparli a casa e a distribuirli per le strade e nel corso delle manifestazioni.
Manifestazioni che del resto costituiscono un rischio visto che i militanti indipendentisti vengono fermati, le assemblee impedite assieme alle iniziative dei partiti (ma solo quelli favorevoli all’indipendenza) e che l’80 per cento dei sindaci catalani sono stati intimiditi con un’prdine di comparizione firmato dal procuratore generale del regno: insomma un quadro complessivo che sta a metà tra la dittatura sudamericana e il totalitarismo di stampo eurppeo perché da una parte vengono esercitate la forza e la censura, dall’altra si tende semplicemente a sopprimere ogni dibattito allo scopo di creare una verità unica: difficilmente anche solo dieci anni fa si sarebbe potuto pensare che la situazione delle istituzioni continentali potesse precipitare così in basso. Eppure è accaduto, anzi in Catalogna accade addirittura se non con l’appoggio, quanto meno con il silenzio imbarazzato di Podemos che si era presentato come una novità dirompente e per così dire popolare nel panorama politico spagnolo, ma che poi ha avuto una parabola molto simile a Syriza pur non essendo direttamente esposto al ricatto della troika e dell’Europa in salsa tedesca. Grottescamente la formazione di Iglesias, sottoposta ormai a una vistosa emorragia di consensi, riconosce il diritto all’autodeterminazione delle nazionalità oppresse da Madrid, ma all’atto pratico è fortemente contraria all’indipendenza catalana in nome di una non ben precisata e comunque fantascientifica conversione federalista di uno stato a chiarissimo orientamento oligarchico e franchista, sulla scia della stessa ambiguità dei socialisti . Questo in una situazione dove di fatto il federalismo è irraggiungibile in Parlamento: ma in ogni caso essa non potrebbe concedere quelle libertà economiche, di gestione di bilancio e sociali che sono la vera richiesta di una larga fascia di popolazione vistasi massacrata dalla crisi e dall’ assurda risposta austeritaria che ne è seguita. Del resto lo stesso ministro delle finanze si è incaricato di smascherare queste “ammuine” politiche decidendo di commissariare il bilancio catalano e minacciando il ricorso a un articolo della costituzione che permette al governo centrale di azzerare tutte le autonomie.
Dunque siamo dentro una contraddizione totale che tuttavia trova una ragione nella posta in gioco e perciò nelle enormi pressioni che vengono fatte su tutto l’arco politico spagnolo, affinché l’indipendenza non sia nemmeno discussa, ma respinta a priori possibilmente senza nemmeno consultazioni popolari: la creazione di una nuova entità statuale richiederebbe di ricontrattare tutto ciò che i governi nazionali hanno supinamente accettato e questo provocherebbe una crisi generale del modello continentale, molto più grave della brexit che ha coinvolto tutto sommato il Paese meno coinvolto nell’Unione e nei suoi trattati monetari e finanziari. Inoltre indicherebbe una strada per sottrarsi ai diktat e comincerebbe anche a sfaldare altri tipi di unioni forzate come la Nato ad esempio. Dunque Madrid dispone di mano libera nella repressione del referendum in armonia con la stampa spagnola che inneggia all’unità e quella europea che molto più semplicemente tace. Certo è molto spiacevole che l’attentato terroristico a Barcellona, l’unica cosa sulla quale si sofferma l’informazione, non abbia avuto quell’effetto didattico della paura che si sperava e che del resto è stato apertamente invocato in tutte queste settimane. Si vede che la gente teme di più un altro tipo di terrorismo: quello dei massacri sociali che sono derivati dagli accordi di Maastricht, successivi trattati, manipolazioni costituzionali e imposizioni collaterali tanto che la formazione più a sinistra, ovvero Esquerra Unida i Alternativa è tra quelle più schierata a favore dell’indipendenza.
Leopold Kohr fu un economista, giurista e politologo statunitense ma nacque nel 1909 nella piccola cittadina austriaca di Oberndorf bei Salzburg.
Questo paesino austriaco, dove passò l’infanzia, lo ispirò nella scrittura della sua opera più importante, The Breakdown of Nations (Il crollo delle nazioni), ovviamente aggiungendo il suo studio critico di economia e teoria politica presso la London School of Economics, la sua esperienza come reporter di guerra durante la guerra civile spagnola e la conoscenza delle città Stato anarchiche, e al fatto che egli fu costretto a fuggire dall’Austria dopo l’invasione nazista (Kohr era ebreo).
Tutto questo contribuì al suo crescente sospetto a riguardo del Potere e dei suoi abusi. Era noto per la sua opposizione al “culto della grandezza” e fu tra gli ispiratori del movimento del PICCOLO E’ BELLO.
Perché parlare di questo quasi sconosciuto signore morto nel 1994? Perché probabilmente sarebbe una di quelle persone ben poco stupite dell’attuale collasso planetario, sintomo della crisi di Grandezza. Non era un capopopolo, anzi era mite e autoironico, lontano dalle luci della ribalta del Potere.
Nel 1957 con “Il crollo delle Nazioni” descrisse tale probabile collasso, ma le sue idee furono sistematicamente ignorate o perlopiù accettate con un’ombra di sorriso sgarbato. Non lusingava il Potere e questo lo ignorava sia che fosse Potere istituzionale o Potere “rivoluzionario”.
In realtà, il messaggio di Kohr era una sfida diretta a quei Poteri.
“Ovunque c’è qualcosa di sbagliato” diceva “qualcosa è troppo grande.”
Egli sosteneva un principio radicale: i piccoli Stati, nazioni piccole e piccole economie sono più pacifiche, più prospere e più creative di tutte le grandi potenze o superstati.
Era una affermazione fuori moda all’alba dell’era spaziale, soprattutto quando BISOGNAVA ESSERE MODERNI A TUTTI I COSTI, con forte fiducia nel progresso gigante, nella tecnologia che avrebbe portato avanti il destino dell’umanità.
Celebrati pensatori politici parlavano in tutta serietà di creare un governo mondiale, come prossimo passo verso l’unione dell’umanità e
Kohr fu estremamente in contrasto con tale principio prevalente.
Kohr sosteneva che i problemi della società non sono causati da particolari forme di organizzazione sociale o economica, ma dalla loro dimensione. Il Socialismo, l’Anarchia, il Capitalismo, la Democrazia, la Monarchia potrebbero ugualmente funzionare bene se eseguiti a “scala umana”: una scala in cui le persone possano svolgere un ruolo nel sistema che governa le loro vite.
Ma una volta arrivati alle dimensioni giganti degli Stati moderni, tutti i sistemi diventano oppressori. Cambiare il sistema, o l’ideologia che sostiene uno Stato non impedisce l’arrivo della oppressione perché “il problema non è la cosa che è grande, ma la grandezza stessa”.
Attingendo alla Storia, Kohr ha dimostrato che quando una organizzazione/governo/persona ha troppo potere, sotto qualsiasi sistema o nessun sistema, tende ad abusarne. Si dovrebbe innanzitutto limitare la quantità di potere che ogni singola organizzazione o singolo governo possono detenere.
La soluzione ai problemi del mondo non era più l’unità, ma la divisione.
Il mondo dovrebbe essere diviso in piccoli Stati, più o meno equivalenti per dimensioni e potenza, in modo da limitare la crescita e quindi il dominio di uno su tutti. I piccoli Stati e le piccole economie sono più flessibili, più capaci di resistere alle tempeste economiche, meno capaci di fare guerre, e i loro popoli sono più seri e responsabili. Non solo, ma erano più creativi.
Molte delle glorie della cultura occidentale, dalle cattedrali alla grande arte alle innovazioni scientifiche, erano il prodotto dei piccoli Stati.
L’Italia in effetti ha dato vita al Rinascimento mentre era divisa in staterelli.
La Grandezza, ha previsto Kohr, non poteva che portare a una maggiore grandezza, e “qualsiasi cosa che diventa troppo grande comincia a soffrire del problema irrefrenabile delle proporzioni ingestibili”.
Al di là di questi limiti lo Stato è costretto ad accumulare più potenza per gestire il potere che già aveva (Impero Romano).
La crescita diventa cancerosa e inarrestabile, fino a quando c’era un solo possibile punto finale: il collasso.
Kohr mise in guardia il Mondo più di mezzo secolo fa asserendo che “la crescita invece di servire la vita, serve se stessa, pervertendo lo scopo stesso dell’esistenza”.
una struttura enorme è perciò stesso astraente ed espropriante rispetto alla diminsione concreta delle persone, la grandezza diventa una sfera separata rispetto alla vita di tali persone. Molto condivisibile !
Mi viene in mente una particolare figura di comunista italiano, Amadeo Bordiga, che nei primianni 70 predicava il “disinvestimento”, in una epoca in cui l’investimento ciclopico era l’ideologia di tutti. Bordiga riteneva paradigmatico il palazzo di vetro dell’onu, per lui un ottimo esempio della follia dell’investimento sempre più grande.
Per certi versi si trattava di un precursore.
Mi pare che si stia ripetendo quello che è successo qualche mese fa in Venezuela con il recente referendum popolare che ha sancito il diritto di quel popolo all’autodeterminazione. Anche in quell’occasione mercenari finanziati (in questo caso l’ esercito governativo) da capitali americani ed europei hanno fatto di tutto per impedire che quelle elezioni avvenissero. E NON CI SONO RIUSCITI.