In Italia se ne parla pochissimo, perché c’è un contributo pubblico ai partiti che di fatto viene sperperato in ruberie. Tuttavia il problema del costo sempre più spropositato delle campagne elettorali viene sentito sempre di più come un problema di democrazia perché finisce con il determinare la politica dei candidati costretti a rastrellare cifre enormi per poterla spuntare. In Gran Bretagna dove le ultime politiche sono costate 58 milioni di sterline, una commissione ha proposto una legge che imponga un tetto massimo delle donazioni di 10 mila sterline, ma i tre partiti maggiore pare non ne vogliano sapere. In Germania la Merkel ha fatto di tutto per rinviare a dopo le elezioni l’unione bancaria che comporta controlli sgraditi alle Sparkasse, gli istituti di credito locali che di fatto finanziano il sistema politico

Si potrebbero fare mille esempi, ma è fin troppo chiaro che i soldi arrivano da dove ci sono, quindi da chi detiene il potere economico che naturalmente pretende un compenso. Quindi quando vediamo campagne elettorali costose (anche quando chi le organizza finge che siano al risparmio) chiediamoci sempre chi le paga e che cosa si aspetta in compenso. Del resto proprio oggi vediamo che ormai la politica si fa in soldoni: Berlusconi non vuole pagare le primarie del Pdl esercitando così una sorta di ricatto, mentre Crocetta in un rutilante alternarsi di contraddizioni fa capire che che gli stipendi dei consiglieri sono alti perché se no, come fanno a pagarsi la campagna elettorale. Insomma fare politica pare sia divenuta una sorta di attività commerciale.

Ma cercando di tirar fuori le gambe da queste miserie casalinghe, vediamo come una diagnosi politica dei candidati può essere fatta anche senza ascoltare una parola, ma guardando chi sono i “mecenati” nelle campagne. Negli Stati Uniti dove sia  Obama che Romney hanno speso quasi un miliardo di dollari ecco che il senso e i programmi che si può attendere dai due candidati  sono messi in luce dai top contributors.