Anna Lombroso per il Simplicissimus

Qualche giorno fa Simplicissimus con nobile e malinconica saggezza metteva in guardia dal primato del pragmatismo, che paradossalmente accomuna destra e sinistra, l’una attraverso l’emergenza e la corruzione ad esso correlata, l’altra attraverso un richiamo al buon senso e alla mediazione. Ricordando come si dovrebbe sospettare di un’ egemonia che rimuove passato e futuro per concentrarsi sul presente, riducendo la speranza, erodendo coesione sociale e concentrando l’aspettativa sulle sorti individuali.
Non si può che dargli ragione e non solo per quanto riguarda le politiche sociali delle quali si accorciano e limitano sempre di più la prospettiva e la portata.
Quello che è minacciato dal respiro corto dell’immaginazione e della progettualità politica è proprio l’impianto del sistema democratico, senza visioni del futuro. Il caso della Fiat non rappresenta solo un’aberrazione di una politica industriale miope e ispirata a scelte autoritarie effimere e discutibili. È anche un preciso e netto disconoscimento dei valori del lavoro, oltre che dei diritti, delle conquiste e delle attese dei lavoratori e di un Paese che ha alimentato e nutrito un’impresa vorace e spesso ricattatoria e parassitaria con formidabili misure assistenziali.
Si è detto che viviamo nella fase della “solitudine normativa” della democrazia, come progetto inadempiuto nel quale acquista priorità la difficoltà di dare riconoscimento e diritto a questioni legate all’etica, alle differenze, alle autonomie, alle cittadinanze.
Si tratta dei vocaboli del nostro dizionario di vita, tra moralità e politica. Vi diranno che in presenza di una crisi profonda la più grave del dopoguerra, ben altri dovrebbero essere gli obiettivi e i temi forti.
Invece io credo che non si possano disgiungere i percorsi: libertà, diritti, solidarietà, dignità, giustizia, benessere, lealtà, cooperazione.
Credo che la tensione all’eguaglianza rappresenti appunto l’aspirazione a colmare il divario tra un mondo da descrivere e un mondo degno di essere descritto: la connessione a catena delle ineguaglianze in risorse e “titoli” di cittadinanza tra angoli della nostra realtà e del mondo, molto, troppo ricchi e i più vasti territori della povertà della subalternità interpretati dalla fredda contabilità, si intreccia con quella globale e trasnazionale degli attuali diseredati e della generazioni future.
La questione della cittadinanza che distingue tra chi è nato dalla parte giusta o da quella sbagliata del mondo e quella ecologica implicano che la crescita predatoria, lo sfruttamento delle risorse non riproducibili ci facciano trattare come schiavi miliardi di contemporanei e come sudditi le generazioni future. E l’acuirsi della crisi, il riaccendersi dell’antagonismo sociale nel nostro Pese ripropone al suo interno l’eterno conflitto con le mostruose modalità di una malintesa modernità, che dovrebbe farci accettare compromessi sui diritti, sulla dignità, in sostanza sulla giustizia sociale e l’equità.
In gioco come sempre è avvenuto è la libertà, libertà oggi e diritto alla libertà domani.

Libertà delle scelte di vita, dei suoi modi e dei suoi tempi, fino al suo termine. Libertà come emancipazione, come assenza di dominio degli uni, privilegiati, sugli altri: in modo da garantire per tutti lo svolgersi della sequenza delle conversioni da schiavi a sudditi a cittadini, un sequenza morale che deve generare i principi e i criteri delle istituzioni, delle politiche, delle pratiche della democrazia. Libertà nel garantire spazio all’autorità morale dei cittadini. All’autodeterminazione di “persone morali”: cittadini e cittadine, uomini e donne emancipate, come intrinsecamente responsabili dei loro scopi e dei loro interessi e dei loro fini, rispettosi di un sottinteso contratto ispirato dalla giustizia sociale, dall’uguaglianza di opportunità, dalla liberà possibilità di esprimere talenti e dotazioni sociali iniziali.
E in questo dovrebbe anche consistere il nuovo sentimento politico e civile della fraternità, inteso come solidarietà di cittadinanza: una forma di vita democratica che incorpori la virtù dell’uguale rispetto e della com-passione e sim-patia che ci faccia essere partecipi della sofferenza altrui.
Nel nostro vocabolario di moralità politica le ragioni del rispetto e della dignità si dovranno saldare necessariamente con quelle della solidarietà, dell’equità, della redistribuzione in nome del soddisfacmento dei bisogni dei più svantaggiati e secondo criteri ispirati dall’emersione nel nostro mondo di nuovi diritti e nuove responsabilità.
L’ingiustizia sulla terra ha molti volti: chiama in causa questioni di giustizia distributiva e questioni di giustizia commutativa oltre che in modo sempre più accelerato, questioni di giustizia retributiva. E non è più accettabile che la rete dei diritti resti inchiodata alla dimensione nazionale nel mondo globalizzato, così come le motivazioni del senso di giustizia si muovono ormai su un terreno senza confini.
Una cultura riformista deve introiettare le istanze di chi nel mondo chiede diritti per altri e non per sé, per chi chiede di avere voce in democrazie che denunciano spazi sempre più ristretti. Deve essere questo uno degli impegni fondamentali di un riformismo democratico e di forze che aspirino a rappresentarlo, alla luce di diritti umani fondamentali che si basano su un’idea elementare semplice, irrinunciabile e preziosa di comunità umana.