Anna Lombroso per il Simplicissimus

Un governo con il guanto penzolone, con ministri “scettici blues” che il mondo li ha resi glacial e in ogni cosa nel fondo non vedon che il mal.
Ci stanno bene vecchi refrain per definire il cinismo ostentato come una virtù pragmatica da un ceto convinto che rottamare persone, lavoro, diritti, paesaggio e monumenti da svendere ai loro compagni di sobrie merende, sia moderno, innovativo e mondializzato.
E viene da sorridere che si facciano piazziste entusiaste di certe convinzioni incivili e inumane le signore del governo salutate con miracolistica fiducia da chi ritiene che perfino lo scontro di classe si pacifichi grazie alla missione demiurgica di una estemporanea presenza femminile.

Non occorreva essere Cassandra per prevedere che questo governo era fatto della pasta di chi “prima il nemico e poi mostra la necessità ineluttabile della guerra”. Che in nome della sua stessa opportunità non fa fare prigionieri abbattendo diritti, che adesso si chiamano tabù, garanzie, che per i privilegiati diventano elargizioni benigne ed arbitrarie, valori, che per l’ideologia di regime sono optional per un pubblico selezionato. Mentre si mantiene un precariato che però adesso in virtù dell’eufemismo di governo è rinonimato flessibilità, anzi lo si estende, applicandolo dinamicamente a espulsi dal lavoro, ripresi e ricattati a intermittenza.
E a intermittenza è anche l’apprezzamento per la famiglia. Esaltata se a godere della sua protezione la prole delle cerchie dirigenti come fucina di talenti ed intelletti. Criminalizzata se è la nostra di poveri cristi. E dire che è l’organismo che ha tenuto in piedi la nazione, è quello il fondamentale sano, che risparmia, sostituisce il sistema di welfare nella cura, nell’assistenza, perfino nell’istruzione, nel sostegno ai più vulnerabili e vulnerati. Come se il familismo e il nepotismo di noi poveracci non fosse incrementato proprio dalla loro ideologia: nel clima cruento e esasperato del neoliberismo in cui il mercato del lavoro è disordinato, ingiusto e precario, e i diritti delle nuove generazioni ancora più incerti il familismo sempre pronto a trasformarsi in clientelismo e in corruzione, fatto di favori, prebende, conoscenze e gerarchie, vive una età dell’oro. Della quale godono come fosse un codice ereditario e legittimo i potenti e cercano di approfittare quelli che dal potere e da quel dominio di cerchie impenetrabili sono esclusi.

Non era buono e generoso quel patto generazionale grazie al quale i giovani erano incatenati ai vecchi in quel rapporto di dipendenza informale. Ma crudele e iniqua è la volontà di spezzarlo mettendo le generazioni le une contro le altre in una lotta senza quartiere per garanzie e sicurezze che non esistono più nemmeno nominalmente.
Non prendiamo le improvvide sortite di questi giorni come manifestazioni occasionali e goffe di gente poco pratica di mondo. E non sono prodromiche a un modello di mercato del lavoro flessibile, bensì a un modello di vita precaria e subalterna. Rispondono a comandi precisi e funzionali a una strategia che vuole trasformare i cittadini, per quanto disincantati della democrazia, in massa annichilita dall’incertezza, vagante in un mondo ostile ai poveri, inerme rispetto al potere e frustrata rispetto a quello dei consumi che non può più permettersi, isolata e sradicata, in modo che sia manovrabile come una merce in svendita in un mercato del lavoro sregolato e sempre più disuguale, povera gente senza difesa e senza riferimenti pubblici e anche personali.
Ancora una volta ci proiettano instancabili lo spot catastrofista del default greco. Ma nel default anche morale ci siamo già e forse dobbiamo guardare alla ribellione dei greci ai commissariamenti coma a una pubblicità progresso. E imitarli.